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Tre personaggi, tre sedie allineate su un piano, un fondale nero e una ipotetica finestra di luce. Si sviluppa cosi la storia di Dear Friends… atto unico scritto e diretto da Adriano Sconocchia che troviamo in scena con Alessandra Cimino e Pietro Marone dall’11 al 14 febbraio al Teatro Tordinona di Roma.

In realtà i personaggi sono quattro perché Paolo, il protagonista prematuramente scomparso, osserva i suoi amici dall’aldilà e risulta la sua voce fuori campo il personaggio determinante per i meccanismi e l’intreccio della narrazione. Proprio lo spazio fuori scena è ben rappresentato da un fascio di luce che si accende nel finale per raccontarci una personale visione che - per tutta la rappresentazione - avevano provato a fare i suoi vecchi amici, loro sì in scena, ma troppo distratti e assenti dalla vita per ricordare a Paolo e forse a loro stessi cosa rappresenti davvero l’amicizia. Il tema dell’amicizia, filo conduttore della pièce, va acquistando nuovi significati e nuovi piani di interesse man mano che scopriamo la storie dei tre personaggi, Martino, Elio e Carolina che - attraverso i ricordi dell’amico comune - discutono a volte ironicamente a volte tragicamente sulla vita e sui ritmi che hanno scandito le loro storie intrecciate. L’avvocato di Paolo, il suo web editor, una ragazza che – forse - è la sua amante e, infine, il defunto scrittore che dopo aver divorziato dalla moglie ha deciso di farla finita.

Ora tutti e tre sono nella camera mortuaria in attesa di dare l’ultimo saluto all’amico e qui - in uno spazio neutro, senza luce, colore e anima - iniziano una sagra dell’ipocrisia, per definire chi gli è stato più vicino in vita, che pian piano acquisterà dimensione luce e colore in base alle verità che verranno a galla. Il problema è che tali verità faticano a rivelarsi già di per sé, a maggiore ragione se calate in un contesto simile e in un presente simile, dove la psicosi moderna dell’immediatezza e dell’attualità, dettata dall’uso degli smarthpone e dei social network, rende ancora più tragicamente difficile l’analisi del passato e del futuro. Cosa è successo realmente? Cosa si nasconde dietro questi personaggi vivi e non? Cosa li accomuna e cosa li divide? E soprattutto ce la faranno ad analizzare loro stessi nonostante siano costantemente aggrappati all’immediatezza dei loro telefonini?

Una rappresentazione ironica, divertente e riflessiva da scoprire al Teatro Tordinona di Roma.

 

                                                                                                    Pasquale Di Maria

DEAR FRIENDS...

Atto Unico di Adriano Sconocchia

con

Alessandra Cimino 

Pietro Marone

Adriano Sconocchia

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Regia di Adriano Sconocchia

dall'11 al  14 febbraio

Teatro Tordinona di Roma 



Autore di saggi storici e di testi teatrali, Adriano Sconocchia si cimenta in questo Atto Unico Dear Friends... in scena dall' 11 al 14 febbraio al Teatro Tordinona di Roma.

La scena si sviluppa in un ambiente unico con  tre attori e una voce. Martino, Elio e Carolina - attraverso i ricordi e la morte precoce di un amico comune di nome Paolo - parlano cinicamente, ironizzano e si battibeccano sugli interrogativi della vita e riflettono sulle colpe reciproche e sulla morte. Una situazione che lì, in quell'istante e non solo, li accomuna e paradossalmente li divide. Tutto si svilupperà anche grazie all'immancabile psicosi dei tempi moderni che ci vede dipendenti dagli smartphone e dai nuovi social. 

Cosa è successo realmente? Cosa si nasconde dietro questi personaggi vivi e non?

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ADRIANO SCONOCCHIA nasce a Roma nel 1960. È autore, regista e attore di testi teatrali e cabarettistici. Il suo atto unico: BUS STOP è stato rappresentato a Estate Romana 2002 (Regia di M. Cotugno, con Giancarlo Ratti), al Festival del Teatro Italiano (Ponza 2002), al Design-Fabrika Flakon (Mosca, marzo 2011) e al Piccolo Orologio, Rassegna UAI Festival in versione corto (Reggio Emilia 2004).  Ha recitato in alcune puntate della seconda edizione di Un medico in famiglia  e nella fiction Incantesimo.  Ha pubblicato diversi saggi storici sulla storia dello Stato pontificio nell'Ottocento ed è autore di romanzi.

ALESSANDRA CIMINO nasce a Chiaravalle C.le, nell'entroterra calabrese, dove comincia a fare teatro all'età di dieci anni. Frequenta il liceo classico, durante il quale si appassiona al teatro greco e ha modo di recitare in quattro tragedie. Parallelamente continua la sua formazione frequentando workshop con Haruhiko Yamanouchi, Michele Monetta, Elisabetta Pozzi e altri. Dopo il liceo si trasferisce a Roma e si diploma a Teatro Azione, che le permette di accostarsi al mondo del doppiaggio e del cinema, partecipando a seminari con Michael Margotta, Filippo Gili e altri, ma anche di approfondire la ricerca teatrale grazie ad insegnanti come Valentino Villa, Marco Angelilli, Paolo Zuccari, Luca Ventura e tutto il corpo docenti della scuola. A ottobre è andata in scena alla Sala Squarzina del Teatro Argentina, in una mise en espace con la regia di Clara Gebbia per un Festival di Drammaturgia Contemporanea. A maggio tornerà in Calabria presentando un suo testo inedito per la regia di Sofia Bolognini.

PIETRO MARONE nasce a Roma nel 1993. Comincia ad appassionarsi alla recitazione all'età di dieci anni. Intraprende gli studi classici e nel frattempo segue corsi di recitazione organizzati nel quartiere. Conclusa la scuola decide di intraprendere la professione dell'attore e si diploma a Teatro Azione, scuola romana diretta da Isabella Del Bianco e Cristiano Censi. Teatro Azione gli permette di studiare con insegnanti come Isabella Del Bianco, Cristiano Censi, Valentino Villa, Paolo Zuccari e Luca Ventura. Ha la possibilità di approfondire gli studi con Filippo Gili e Michael Margotta e frequenta un corso di recitazione cinematografica diretto da Francesco D'Ignazio. A Ottobre è andato in scena alla Sala Squarzina del Teatro Argentina per una mise en espace con la regia di Clara Gebbia per un Festival di Drammaturgia Contemporanea. A febbraio sarà in scena con Dear Friends...  e con il Trovarsi di Pirandello diretto da Danila Fruci.

Si muore per poi tornare per un’ora al giorno. Solo un’ora. Cris viene investito da un auto e si trova con un piede sulla terra - a dibattere con la madre e a scontrarsi con le convenzioni sociali di un piccolo paese del sud - e con un piede in un frigorifero che simboleggia il suo passaggio verso l’aldilà. Per poi arrivarci, nell’aldilà, e rifare una capatina ogni tanto, nella vita. In Biografia della peste, vita e morte si intersecano attraverso personaggi reali e non, che si esprimono con linguaggi inventati e con vernacoli specifici.

Un paese fantastico e un po’ folle, dunque, che si sviluppa su una scenografia minima composta da oggetti strambi quali un cavolo, una sedia a rotelle e un frigorifero, appunto. E due soli attori a interpretare problemi comportamentali, sociali, di morte e di piccole resurrezioni. Luciana Maniaci e Francesco d’Amore ci raccontano così i loro scritti al Teatro dell’Orologio di Roma. Hanno cominciato con Il nostro amore schifo e concludono la Trilogia del gioco con Morsi a Vuoto fino a domenica 7 febbraio.

 

Marianna Zito

Foto di Manuela Giusto

Il rifiuto religioso e l'anticonformismo che caratterizzano il teatro di Molière vengono portati in scena - non senza la giusta forma di ironia - dalla regia di Alessandro Preziosi - in coproduzione con Khora Teatro - al Teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma fino al 14 febbraio. Sul palcoscenico, con splendidi costumi d'epoca che incorniciano un trucco e una espressività molto forti, troviamo Preziosi nei panni dello sciupafemmine moleriano - datato ma sempre attuale -  che diverte il pubblico e, allo stesso tempo, lo mette di fronte alla nudità delle proprie debolezze. Un personaggio costruito di leggerezza, capace di ipnotizzare, sedurre e illudere le personalità più deboli e ingenue con il semplice potere delle parole, con la sola personalità e senza grandi espedienti. Un politico ateo insomma, affiancato da un incisivo e indispensabile Nando Paone nei panni del servitore Sganarello, il personaggio che lo stesso Molière amava interpretare.

Un corteggiatore rapito dalla bellezza, un adulatore per il quale "la fedeltà è una virtù per poveri pagliacci". Un personaggio che è semplicemente il riassunto della finta società contemporanea, caratterizzata da quel "vizio alla moda" che è l'ipocrisia utilizzata per raggiungere la felicità tipica delle famiglie medio borghesi. L'ipocrisia è tagliente. L'ipocrisia è il monologo - ora più duro e crudele di quelli degli spettacoli precedenti - di un assassino e un bugiardo che rifiuta Dio e paga la sua colpa senza possibilità di salvezza, destinato automaticamente all'inferno: una punizione estrema per le disobbedienze alle leggi umane e divine.

L'adattamento teatrale di Preziosi - tradotto da Tommasi Mattei - scorre, diverte e ammalia. La scenografia, all'inizio totalmente vuota, è composta da proiezioni multimediali che scivolano lentamente su un pannello di fondo e che ricordano lo stile dei dipinti impressionisti chiamati a riproporre l'ambiente in cui si sviluppa l'opera. La prosa mantiene lo stampo originale ed è arricchita da elementi narrativi che permettono al pubblico di inserirsi con più facilità nella vicenda, come la scena del duello iniziale - non presente nel testo originale - che ci accompagnerà fino alla fine della storia. Personaggi frivoli e superficiali che si scambiano battute armoniose a divertire e alleggerire il pubblico con un testo non poco impegnativo della cultura seicentesca.

Marianna Zito

 

Don Giovanni di Molière

Traduzione e adattamento Tommaso Mattei

Scene Fabien Iliou 

Costumi Marta Crisolini Malatesta 

Luci Valerio Tiberi 

Musiche Andrea Farri

Supervisione artistica Alessandro Maggi

Regia Alessandro Preziosi

con Alessandro Preziosi, Nando Paone e con Lucrezia Guidone, Barbara Giordano, Roberto Manzi, Daniele Paoloni, Daniela Vitale, Matteo Guma

 

La pièce di Mike Bartlett arriva - all’interno della Rassegna Dominio Pubblico 2016 –  al Teatro dell’Orologio di Roma e vede in scena Fabrizio Falco vincitore del Premio Ubu 2015 come miglior attore under 35, Enrico Di Troia, Jacopo Venturiero e una straordinaria Sara Putignano.

In uno spazio vuoto - delimitato da un quadrato e creato dai passi degli attori stessi - si snodano le incertezze, le frustrazioni e l’incapacità di prendere decisioni nel momento in cui si presenta la possibilità di una scelta. La capacità di poter decidere si trasforma quasi in un dramma a tratti comico, in un nodo che John – l’unico personaggio ad avere un nome in tutta la storia e paradossalmente l’unico a mancare di identità propria - non riesce in nessun modo a sciogliere ma che diventa , a volte, sempre più stretto.

John è innamorato del suo uomo ma, improvvisamente, conosce una donna e ciò che fino a quel momento sembrava definito – la sua sessualità, appunto - comincia a sfumare creando conflitti interiori e difficoltà reali. Si sviluppano, quindi, una sorta di pensieri e sentimenti ambivalenti che lo allontanano dalla sua vita, ormai consolidata con una persona matura, per immaginare al suo fianco una moglie coetanea e dei figli: due strade completamente diverse e assolutamente incompatibili. I personaggi si confrontano con scambi di battute schiette che oscillano dalla provocazione a parole affabili e concilianti, da cui emergono problematiche sociali odierne e meravigliosi orgasmi.

Cock vince – nel 2010 - il Laurence Olivier Award per l’Outstanding Achievement in an Affiliate Theatre, un riconoscimento per i successi ottenuti durante l’anno all’interno del teatro britannico e vi aspetta al Teatro dell’Orologio di Roma fino al 31 gennaio dal martedì al sabato ore 21.00 e domenica ore 18.00. Non mancate!

 

                                                                                                                                        Marianna Zito

                                                                                                                                         foto di Manuela Giusto

                                                                                                                                       

L’Ora Accanto è l’esistenza nello stesso spazio di una persona che non è più, in un tempo definito e scandito. È un arco di tempo surreale, fatto di ipotesi e riempito da una presenza irreale che è stata, non è ma potrebbe ancora essere.

L’Ora Accanto – scritta da Filippo Gili e diretta da Francesco Frangipane - è l’ultimo capitolo del Percorso Monografico Trilogia di Mezzanotte che ha aperto la rassegna Dominio Pubblico 2016 al Teatro dell’Orologio di Roma, dove sarà in scena fino al 14 febbraio.

Qui, la morte torna - per la seconda volta - nella vita di quattro fratelli e di una madre, mettendo ognuno a confronto con  una situazione inverosimile che crea negli animi non pochi scompensi e un turbinio di emozioni che oscillano dalla gioia di un dato momento al dolore profondo e costante della realtà. In questo tal modo la metafisica si impossessa della vita quotidiana e  – al buio e mentre un monitor misura il passare del tempo - prendono vita alcuni ricordi di infanzia e i rancori dimenticati o semplicemente celati dei protagonisti.

I personaggi di Filippo Gili attraversano la scena dapprima in modo vivace e armonico per poi fermarsi fino a immobilizzarsi, conducendoci a pieno nella morsa soffocante dell’attesa di qualcosa che non è presente: la mancanza.

 

                                                                                                                                   Marianna Zito

Niente di nuovo sotto il suolo è il titolo della trilogia che Luca Ruocco e Ivan Talarico – fondatori nel 1999 della compagnia teatrale Doppiosenso Unico - portano in scena al Teatro dell’Orologio di Roma fino al 17 gennaio con repliche straordinarie il 22, 23 e 24 gennaio.

Il percorso monografico si compone di 3 spettacoli che catturano il pubblico a 360 gradi, facendolo anche diventare protagonista o personaggio degli spettacoli stessi. La peculiarità è quella linea sottile di umorismo sarcastico, raggelante e crudele che analizza gli argomenti che più mettono in crisi l’essere umano come la morte, la vita, la religione, la famiglia attraverso tre temi: il suicidio, l’alienazione e la malattia che rispettivamente troviamo ne La variante E.K, in g.U.F.O e in Operamolla.                                                                                                                                                                      Il tutto si sviluppa in uno scenario minimo fatto di oggetti assurdi e surreali utili per il susseguirsi veloce di scene brevi e continue con i due personaggi che dibattono assiduamente -  ricordandoci la tragicommedia esistenzialista dei Rosencrantz e Guildestern stoppardiani – attraverso giochi di parole attorcigliati in una intelligenza sottile.

La variante di E.K ci racconta il duro allenamento per arrivare a un buon suicidio che vede come protagonista un pover’uomo “ignaro del suo destino” e due becchini molesti che diventano “insegnanti di morte per suicidio” e che cercano di convincere in tutti i modi l’uomo “non adatto al ragionamento” a morire.

g.U.F.O. analizza le paure e le insicurezze degli esseri umani attraverso gufi chiusi nelle loro mura domestiche (la famiglia) e alieni (vestiti da nazisti e sbarcati senza barche) che dominano il mondo e indirizzano, addirittura, i grandi geni della storia –  appassionati al fallimento -  dando loro la saggezza che li caratterizza in un mondo destinato alla menzogna.

Operamolla, infine, vede protagonisti tre fratelli chiusi in una casa alle prese con le malattie, le morti e le resurrezioni - guidati dalle parole dei Santi - ma senza sapere mai come andrà a finire. Il piacere della malattia si incontra con le varie morti a cui siamo destinati e che ignoreremo, forse, fino alla fine. Tra i consigli per guarirne, ci fa compagnia un cammello.

Una coppia esilarante - Ruocco e Talarico - che ci farà ridere, riflettere e sorridere amaramente. Da non perdere!

 

                                                                                                                                                    Marianna Zito

 

In modo goloso e originale, Luca Dotti ci racconta la storia di una donna che è stata - ed è ancora oggi - il simbolo della delicatezza e della femminilità: sua madre Audrey Hepburn.                                                                                                                             Luca Dotti nasce dal secondo matrimonio dell’attrice con lo psichiatra italiano Andrea Dotti che la porta con sé a Roma per condurre la vita - lontana dai riflettori - che la Hepburn ha sempre sognato. Quindi, grazie a questo libro, l’amatissima Holly Golightly si trasforma per dare vita alla più semplice, quotidiana e indispensabile figura di madre-casalinga amante dei cani, della natura e del cibo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ingredienti di varie nazionalità (dall’Olanda a Londra, poi Los Angeles, Roma e la Svizzera) si mescolano per creare pietanze che accompagnano sia le quotidiane cene familiari sia le serate con amici e personaggi di spessore (ad esempio Givenchy). Nascono così ricette che insieme agli appunti culinari e a bellissime fotografie ci raccontano frangenti di vita della diva di Hollywood lontana dai media, mostrandoci una meravigliosa donna alle prese con i figli, i fiori del suo giardino e gli spaghetti al pomodoro prima, e dedita agli aiuti umanitari come ambasciatrice di buona volontà dell’Unicef poi.

Troviamo le ricette dei ritorni a casa, delle feste dell’infanzia, quelle della nonna  e delle amatissime amiche Doris Kleiner e Connie Wald. Ogni piatto diventa la trade unions tra i vari luoghi amati dalla Hepburn oppure sono semplicemente un simbolo ricorrente nelle festività (come le patate al salmone tipiche del capodanno).

Un racconto emotivamente intenso - dalla semplice prima colazione ai piatti elaboratissimi delle ricorrenze importanti o delle cene davanti alla tv - che ci lascia incantati e addolciti davanti alla ricchezza interiore e alla bellezza esteriore che hanno caratterizzato la vita di questa donna.

 

                                                                                                                                 Marianna Zito

PHOEBE ZEITGEIST - in coproduzione con Progetto Goldstein e in collaborazione con il Teatro dell'Orologio - presenta Kamikaze Number Five del palermitano Giuseppe Massa, con la regia di Giuseppe Isgrò e la lacerante interpretazione di Woody Neri.

Woody Neri è lì sul palcoscenico - nudo - con una forza e un'energia esplosiva così come lo spettacolo che andrà ad interpretare. Lo troviamo subito circondato da pochi oggetti tra i quali la corda su cui sta saltellando, nell'attesa che gli spettatori si compongano e, alle sue spalle, si intravede un ampio telo cucito con vari simboli calcistici e non solo. È crudo _Neri_, psicologicamente forte e a tratti intriso di una ironia tagliente, a sanguinare.


 


"5 esplosioni, 5 terremoti, 5 lame si conficcheranno nelle gole dei maiali. Io sono l'ultimo. Il numero 5. Il definitivo."

In un periodo storico - il nostro - in cui il tema è sensibile, ci troviamo di fronte alla messa in scena di un percorso fisico e psicologico dell'esistenza e delle ultime ore deliranti di un uomo destinato alla morte. Un percorso verso la fine legato alla volontà di un Dio pronto a decidere quando si nasce e quando si muore. Un nudo monologo introspettivo - in bilico tra i confini della mente - che attraversa i momenti e i luoghi del passato, le memorie di bambino, a incontrare - negli ultimi istanti - le persone care che non esistono più: un padre martoriato dai ricchi maiali appartenenti a un regime totalitario, un fratello, una madre che ricerca la felicità e una piccola bambina, sua figlia. 

La sala si riempie in pochissimo tempo di tutte le sensazioni e dei rumori assordanti e delle voci pronte a creare un tumulto all'interno dell'animo, un rimbombo vuoto e sordo simile all'eco di un'esplosione che ci lascia sfatti e attoniti quasi alla ricerca dei resti, delle macerie e dei cadaveri a pezzi. La totale e misera "nudità" dello spettacolo ci mostra, inoltre, l'impotenza dell'uomo davanti a determinate dinamiche e la si lascia passare in secondo piano, la nudità, sovrastata dall'intensità e dalla fermezza di uno sguardo che viaggia alla continua ricerca del vuoto e del buio. Fino alla quinta esplosione. L'ultima.

Fino al 20 dicembre al Teatro dell'Orologio di Roma.

Marianna Zito

Ed ecco a voi un nuovo reality, un reality on-line, un reality ad hoc per cambiare la vostra vita per sempre e per risolvere tutti i vostri problemi e le vostre inquietudini.

I concorrenti sono sei tutti diversi tra loro ma accomunati da una comune angoscia esistenziale che si palesa attraverso i “mali incurabili” della nostra società: l’omosessualità, la violenza, la depressione, il gioco d’azzardo, il mutismo, la paura e la dipendenza. Personaggi che si raccontano nei monologhi, si scontrano, si odiano, si amano e si confrontano con un pubblico che, da casa, li giudica e li sostiene. Uno spettacolo da guardare e da leggere, in cui bisogna solo aspettare. Andate, guardate e scegliete – con telecomando alla mano - chi secondo voi merita di vincere  - o di perdere.

Di e con Alessia Amendola e Michele Botrugno, uno show televisivo che , dopo la presentazione al Fringe di Edimburgo arriva al Teatro Cometa Off di Roma fino a domenica 13 dicembre.

 

                                                                                                                                                          Marianna Zito

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