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È buio. Si sentono le parole di un uomo. Piano piano sul palcoscenico sono visibili una sedia e un lenzuolo bianco. Si sta parlando della morte. Della decisione obbligata di un ultimo soffio d’aria di uscire da un corpo dove sa che non tornerà mai più. Perché sta morendo. Si sta impiccando.

Comincia così Antropolaroid di Tindaro Granata: la fotografia umana di una famiglia siciliana della provincia di Messina. L’autore/attore ci narra una storia che inizia dai suoi bisnonni - all’inizio del 1900 – e arriva fino ai giorni nostri, attraverso vari suoni e varie figure che nascono tutti dai suoi stessi movimenti e dalla sua stessa voce ma che, inevitabilmente e involontariamente, gli scorrono nel sangue. Il racconto, quindi, non è altro che l’insieme dei “cunti” che i bisnonni, i nonni e gli zii raccontavano e si tramandavano attraverso le vicende stesse o le confidenze sotto le coperte, “nel lettone”. Tindaro ci trasporta in mille posti e ci fa “vedere” tutti i suoi personaggi in un modo così magistrale che nella nostra mente hanno facce, mani, piedi,vestiti, occhi, capelli e gambe. Li sentiamo, quasi li tocchiamo. Alla fine quasi ci mancano. Ci fa ridere Tindaro, fino alle lacrime, per portarci poi subito dalla dolcezza al sapore amaro tipico di vicende come l’abuso e la violenza sui bambini o la morsa stretta della mafia che ci controlla e dirige come soldatini.

Il legame con la terra natìa, con la propria casa si percepisce come un qualcosa di innato e si ritrova soprattutto nella tipica lingua dialettale, in una trasposizione semplice e comprensibile a tutti attraverso le mimiche, i balli, le filastrocche e le figure mitologiche tradizionali. Un legame che spesso va allontanato – perché distruggerlo è impossibile – per avere la libertà di realizzare i propri sogni. E per smettere di avere paura.                  Si snocciola così, in poco meno di un’ora e d’avanti ai nostri occhi, la vita di un bambino che diventa uomo e dei “mali” della sua famiglia che si tramandano di generazione in generazione.                                                                                                                                                                     

“Quannu diventerai granni e ti troverai in difficoltà, tu nesci a lu cielu, cerca a stidda chiù lucenti e quannu la vidi, chidda est la stidda di la to bisnonna, ca ti protiggisci. E ricordati nipotinu meu, avrai tanta fortuna. Tanta bellezza e tanta sofferenza.” sono le parole della bisnonna Concetta. E non si è sbagliata, perché Tindaro la irradia la sua bellezza e la regala a tutti coloro che hanno la fortuna di ascoltarlo e di stargli vicino.

Questo è il regalo di Tindaro agli amici del Teatro dell’Orologio di Roma: gioia e bellezza. Il 30 ottobre toccherà al Teatro Lirico di Magenta . E poi, di seguito...tutte le altre date. Non mancate.

 

Lugano (Svizzera) - 11 novembre 2015 - Teatro LAC

Ferrara - 28 novembre 2015 - Teatro Ferrara Off 

Genova - 8/9 gennaio 2016 Altrove – Teatro della Maddalena  

Spello (PG) - 15 gennaio 2016 - Teatro Subasio 

Verbania - 23 gennaio 2016 - Teatro Sala Sant’Anna

Arsoli (RM) - 30 gennaio 2016 Teatro La Fenice  

Oppido Lucano (PZ) - 6 febbraio 2016 - Cineteatro G. Obadiah

Caltagirone (SR) - 12 febbraio 2016 - Teatro dell’Orca 

Lamezia Terme (CZ) - 14 febbraio 2016 - Teatro Umberto

Nembro (BG) - 27 febbraio 2016 - Teatro San Filippo Neri 

Putignano (BA) - 3 marzo 2016 - Auditorium Pietro Mezzapesa

Bari - 4/5 marzo 2016 - Teatro Abeliano 

Milano - 8/10 aprile 2016 - Atir Teatro Ringhiera 

                                           

                                                                                                                             foto di Manuela Giusto

Lo spettacolo vince il Premio della giuria popolare della “Borsa Teatrale Anna Pancirolli”, il Premio “ANCT” dell'Associazione Nazionale dei Critici nel 2011, il Premio Fersen in qualità di “Attore Creativo” nel 2012. Tindaro Granata vince nel 2013 il "Premio Mariangela Melato" come Attore Emergente.

 

                                                                                                                                                                         Marianna Zito

La prima presentazione NEMAPRESS alla libreria Arion di Montecitorio a Roma ha visto come protagonista la performer “donna di teatro e di penna” Ilaria Drago e il suo libro Di polvere e di resurrezioni – trittico di donne e altre piccole storie, una raccolta di monologhi teatrali portati in scena dall’autrice stessa.

Con Ilaria Drago - in questo momento di forte condivisione emotiva – erano presenti Neria De Giovanni, Grazia Francescato e l’attrice Anna Rita Severini. Donne che raccontano donne, scavando all’interno di quel che rimane dell’animo e dell’amore universale.

Accanto a estratti di letture di Ilaria Drago, accompagnata da Anna Rita Severini - Simone Weil, MaddalenaMaria, Antigone Pìetas, Antigone dei pazzi, Pesci vagabondi – si sono intrecciate le parole di Neria De Giovanni e di Grazia Francescato a definire una donna che ammutolisce, scuote gli animi, diventando quasi una terapia d’urto verso quell’indifferenza che di per sé non porta alla morte ma ci fa dimenticare il valore della vita stessa “irrorandoci di sangue vivo”.  

Attraverso le parole di Ilaria Drago tocchiamo il dolore, quel dolore generato sia dalla sofferenza della guerra sia dall’amore, soprattutto quello delle donne che viene “sparso a piene mani”, ci circonda, ci sommerge conducendoci verso la rinascita, verso la luce attraverso uno sguardo nuovo in grado di riconoscere la bellezza del mondo, la verità.

 

 

                                                                            Marianna Zito

Continua - al Teatro dell’Orologio di Roma - il percorso monografico del collettivo artistico milanese Proxima Res. Il secondo appuntamento è con la Prima Nazionale di Fuorigioco progetto diretto da Emiliano Masala, scritto da Lisa Nur Sultan, in scena fino al 22 ottobre.

Foto di Manuela Giusto

 

È il 28 giugno del 2012 ed è l’unico momento in cui i silenzi regnano tra le strade italiane, ovvero quel momento che ha totalmente fagocitato la nostra società: il momento della partita di calcio. Quindi è il 28 giugno 2012, sono le 20.30 circa e la maggior parte delle televisioni italiane è sintonizzata sulla semifinale europea Italia- Germania. Una suspense che sarà trasformata trasformata in euforia, per ben due volte dal giocatore Mario Balotelli. È sempre il 28 giugno 2012 quando il Presidente del Consiglio Mario Monti si impone sulla cancelliera tedesca Angela Merkel con lo scudo anti-spread. Ed è ancora il 28 giugno 2012 quando Mario e Anna si imbattono in Adriano e Laura, due persone pronte a morire.

La scenografia si costruisce piano piano con pochi elementi che delimitano una panoramica di interno ed esterno per sottolineare quello che sarà il luogo cruciale per lo svolgimento della storia, un cornicione. Quel cornicione che eviterà a Mario di vedere la tanto attesa partita perché proprio lì si trovano inaspettatamente Adriano e Laura, decisi a buttarsi nel vuoto.

Un viaggio esistenziale tra l’equilibrio di due coppie che ci snocciolano addosso le tematiche che ci sfiancano ogni giorno: dalla crisi al razzismo, da Dio alla difficoltà di essere donna.

Una commedia divertente e cinica che analizza le motivazioni di chi va e di chi resta, di chi si accontenta e di chi non vuole farlo,  che ci fa capire che a voler aiutare gli altri - o a voler essere come gli altri - si può correre il rischio di prendere le distanze o cadere nello stesso dramma.

 

Marianna Zito

Una storia che gela. Che quando finisce sarebbe stato meglio inventarla. Perché Tindaro Granata ha scritto e porta in scena - al Teatro dell’Orologio di Roma - una storia di cronaca. Perché la realtà sbattuta così in faccia ci inquieta e un po’ ci mortifica. Una bambina, un ingenuo padre, una madre, un amante e altri ancora, che - davanti a un giudice/pubblico e su un palcoscenico - fanno in modo che colpe ed emozioni si sovrappongano inequivocabilmente, trasformando il carnefice in vittima e la vittima in carnefice. L’ambiente è riempito solo da qualche sedia e da pezzi di legno a delineare interni o esterni. A un certo punto si accende un piccolo televisore che - mentre la crudezza è in atto - fa scorrere immagini di un cartone animato infantile.

Foto di Manuela Giusto

Una madre ormai sola, una donna ritrovatasi stupita e stupida davanti all’abbaglio di quello che doveva essere amore ma che diventa solo uno strumento di apparenza e di morte. Una donna posseduta, tarantata, un’isteria  causata da invidie e giudizi reciproci da e verso il mondo circostante che provoca una sorta di annullamento, di solitudine che vede come unica protezione l’immagine di Dio : “è colpa mia se gli altri mi invidiano?”. Un amante perverso e pedofilo che ha come unico risultato una morte innocente che dalle parole dei personaggi sembra spesso ignorata o dimenticata. Nessuno di loro è colpevole ma tutti si accusano reciprocamente implorando – poi - un perdono senza salvezza.

Invidiatemi come io ho invidiato voi, narra una malattia dei tempi moderni accentuata dall’incontrollato progresso delle strategie mediatiche.

Lo spettacolo, in scena fino a domenica 11 ottobre, riapre la stagione teatrale in Via dei Filippi 17/A ed è il primo appuntamento del percorso monografico del collettivo artistico milanese Proxima Res che ci accompagnerà fino al 25 ottobre con la Prima Nazionale di Fuorigioco di Emiliano Masala e il coinvolgente Antropolaroid che rivede protagonista Tindaro Granata.

Marianna Zito

Enrique ha il passo lento e fiero. Sorride e ride. Ci guarda con occhi attenti e curiosi - lui - mentre ci racconta di Pasolini, Moravia, della Morante e di Ninetto Davoli. Attenti e curiosi, in realtà, siamo noi. Siamo in un bar a Matera, sopra i sassi. Siamo in una delle città che 51 anni fa Pasolini scelse per le riprese del Vangelo secondo Matteo e che per Enrique Irazoqui oramai è semplicemente casa.

Aveva soli 19 anni quando si trovò di fronte un Pasolini che lo squadrava penserioso, con un sorriso celato e con la certezza di aver trovato il suo Gesù. Forse la stessa meraviglia e la stessa certezza di quando il regista vide e scelse Matera. La stessa città che in questi giorni, dall'1 al 4 ottobre, ha ospitato l'evento di cultura partecipata Matera InCanta Dante di cui Enrique ha inaugurato le letture con i primi versi dell' Inferno per celebrare i 750 anni dalla nascita del Sommo Poeta.

Accanto a Enrique il suo carissimo amico Mimì Notarangelo autore dei suggestivi scatti durante le riprese del Vangelo. Matera nel disinCanto dei passi e delle parole di Enrique che ci ha regalato e insegnato momenti di "pienezza", di vita e di memoria.

Marianna Zito

Il bacio

02.10.2015 10:33

La finestra era socchiusa. Entrava solo quella lieve brezza che portava nell’intera stanza profumo di sale.

La stanza era vuota. Lo aspettava da un’ora, oramai.

L’albergo si affacciava su quella parte del mare dove c’era solo mare.

Silenzio.

L’azzurro, ormai blu, si stendeva come uno strato di tela piatta che, se prendevi un ago, si bucava senza perdere sangue.

Lo aspettava da due ore, oramai. 

La stanza era vuota. Un letto accanto alla finestra riportava a quelle case di montagna di legno, fredde. 

Niente a che vedere con il mare. 

Un lume, a tratti accecante, ravvivava la stanza. Erano quasi le cinque del mattino. Lo aspettava da tre ore, oramai.

La luce sbatteva sull’ampio muro di fronte dando vita a un piccolo quadro che raffigurava una donna dallo sguardo triste. Forse.

La tenda, lunga e pesante, verde come le olive scure dal sapore dolciastro, aveva cominciato a muoversi spinta dalla brezza che trasportava l’odore di caffè tostato.

Improvvisamente la porta numero 7 del piccolo hotel si spalanca. Lui entra di corsa, spaventato, forse di non trovarla più. La afferra dolcemente, senza una parola.

Piange, la stringe e la bacia. Lei lo avvolge e lo bacia.

Come un Rodin.

                                             dipinto di Alessandro Santantonio

Ubriachi, ascoltavamo il mare

parlare al mattino.

In quel luogo dove non c'è luogo

e dove l'orizzonte segna il confine

tra la tua lingua e le mie labbra.

Abbiamo odorato il niente

strofinando il naso sulle nostre pelli

che diventavano un gioco di carne e sudore.

Non esiste il dove dei nostri incontri.

Esistono il vino, le costellazioni e il nostro sangue

che ci scorre tra le gambe, lento,

e risale a ritroso nei nostri occhi

stanchi e doloranti.

Non esiste il tempo dei nostri baci.

Esiste solo l'istante di un soffio

nascosto in una strada vuota,

tra lo sguardo inebetito delle stelle

nello specchio bagnato

come le nostre anime

sciolte nel piacere.

 

Una libertà forzata e una vita

intagliate in uno spicchio di mare di Sicilia.

C'è solo un faro a illuminare

il confine, l'orizzonte, la lingua, le labbra.

 

“Abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci protegga”.

 

non posso languire

02.07.2015 12:32

Il letto volante - Frida Kahlo, 1932

 

Non posso languire come bestia ferita. Non posso evocarti o urlare. Posso strapparmi la pelle e farne terra.  

Raccogliere il mio sangue e immergermi dentro fino ad annegare e ingoiarlo e ancora riattaccarmi pelle - come a lavorare creta - per sentirmi diversa e riconoscermi, nei riflessi, la stessa. 

Posso spezzare le mie ossa e lanciarle - lontano - ai cani. Posso lanciarle ad avvicinarti - distanza diminuita dall'essere te. Ossa putride e azzannate, a puzzare di vecchio.  
 
Ricordi. Memoria. 
 
Ho le gambe doloranti, piegate davanti alla bocca del tuo cuore. Sono fatta di sangue e fango.
 
E non mi riconosco.
 
Volevo essere bella e sono arrivata sporca, strisciando tra i rovi delle tue budella, dei tuoi cancri e della tua putrefazione. 
Non ho nemmeno più vestiti. Solo brandelli di carne morta.

Come in quella poesia

29.06.2015 22:33

Come in quella poesia
di Neruda
dove lei sono io
e lui sei tu.
E mi manchi tutti i giorni
ma l'amore
è nella mancanza
di quei giorni.
nei resti dell'aria
che respiriamo
da una parte all'altra
di Roma.
Tu la liberi e io la riprendo.
E la incateno nell'anima
morendo
per non lasciarti andare.

 

Roma e tu

25.06.2015 13:27

Ogni posto di Roma potrebbe essere una parte di noi.  

Il Tevere, nel suo scorrere lento in un giorno di sole, potrebbe essere la tua pacatezza soffusa nel parlarmi. Mentre se - poche ore dopo - arrivasse un po’di pioggia, sarebbe il mio continuo tintinnare di bambina curiosa sulle cose.

I rami che gli cadono contro, ma solo sfiorandolo per bagnarsi, potrebbero essere le tue dita, quasi a scoprire nenie lontane sui tasti di un pianoforte. E poi le scalinate. Quante scalinate.

Come a Piazza Venezia, a San Pietro in Vincoli o come la cordonata del Campidoglio o come quelle brevi della Chiesa di Sant’Agostino, che mi piace tanto. Se le percorri in salita puoi vedere la vita, il futuro. Se scendi è passato e puoi inciampare.

A ritroso, di spalle, è memoria. La mia memoria è la mia infanzia.
Il resto solo punte nostalgiche di ciò che non accade o non può più accadere.

 

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