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La scena ci si presenta irrimediabilmente addosso, né un palcoscenico né un sipario, solo un ampio spazio a pianta centrale - visibile a 360 gradi - che verrà calpestato in ogni punto dai cinque personaggi che man mano appariranno e scompariranno dalla visuale. Il pubblico – che dà alla scena una forma rettangolare - potrebbe esserne il confine, ma non troppo.

Così, un piccolo luogo di periferia - lo Spazio Diamante - diventa lo scrigno del lavoro di Filippo Gili che si distacca qui dal Teatro dell’Assurdo di Beckett - lasciando che la realtà predomini sull’inconscio - riproponendoci frammenti e dialoghi della vita reale - senza altri suoni se non quello delle voci a scandire il ritmo del tempo - in un paesaggio immaginato - con i rami di un albero, forse di un salice, sospesi sopra dei detriti - dove i personaggi confrontano le loro solitudini e le loro ansie. Aspettano Godot ma ne temono l’arrivo, e nel frattempo lo usano per riempirsene la vita, pour passer le temps. Si mentono per restarci, in vita.

Un Vladimiro e un Estragone - con un’età visibilmente differente l’uno dall’altro e interpretati dall’affiatatissima coppia Giorgio Colangeli e Francesco Montanari - che come già sappiamo, aspettano Godot e quindi un nuovo giorno e un altro ancora e via dicendo. Un'attesa sempre molto vicina all’obiettivo ma che diventa irrimediabilmente irraggiungibile per paura o forse, ancora più semplice, per noia. Una continua contraddizione a fronte di soluzioni immediate o comunque sempre realizzabili ma che si fermano, perdendosi. Ed è qui evidente l’immagine della condizione precaria dell’uomo occidentale contemporaneo proteso verso un futuro a cui non è mai realmente pronto. Questa spirale divertente e logorroica viene interrotta - oltre che dal cibo e dal sonno - da un beniano e sofisticato Riccardo De Filippis e da un divertente Giancarlo Nicoletti - nelle vesti di Pozzo e Lucky - e dal piccolo e discreto messaggero di Godot - Pietro Marone.

Un cast eccezionale dalla forte e travolgente interpretazione emotiva, nessuno dei personaggi è mai per un attimo fuori luogo e in alcuni momenti anche il pubblico si sente parte integrante di questa storia dal ritmo vivace. È così tanto il coinvolgimento che alla continua domanda di Estragone viene quasi da prendergli la mano, guardarlo negli occhi e rispondergli, Stiamo tutti aspettando Godot. Applausi!

Spazio Diamante - Via Prenestina 230b - Roma

dal 24 Marzo al 02 Aprile 2017

Venerdì e Sabato 21.00 / Domenica 18.00

Info & Prenotazioni 06-80687231 / 393-0970018

 

Marianna Zito

 

 

 

Quattro spettacoli divertenti vi aspettano fino al 17 maggio al Teatro Sala Umberto di Roma con la prima edizione della rassegna Classici del secolo futuro - Quattro scritture senza paura,  un progetto firmato dagli allievi dell’Accademia Professionale di Regia e Drammaturgia Stap Brancaccio - e prodotto da Sala Umberto, sotto la direzione artistica di Alessandro Longobardi

Il percorso seguito dalla rassegna prevede la riscrittura contemporanea da parte degli allievi del terzo anno di opere classiche:  la scelta di questo primo anno è caduta su Cechov, Shakespeare, Beckett e Pirandello.

Dopo Barnaba’s Show (da Il Gabbiano di Anton Checov) è arrivato DA OTELLO (scritto e interpretato da Lorenzo Caldarozzi, Alberto Fumagalli, Federico GattiAlice d'Hardouin Bertini, Francesco Massaro, Silvia Parasiliti Collazzo) dove il noto testo shakespeariano si trasferisce in una trattoria – DA OTELLO appunto. Otello ne è il proprietario, insieme alla sua bellissima compagna Desdemona. A completare il personale troviamo il primo chef Cassio, il lavapiatti Roderigo, la cameriera Emilia e suo marito, l’aiuto cuoco Iago. È quindi in una cucina che si consuma il dramma, tra le divertenti capacità interpretative di tutti i personaggi che attraversano il palcoscenico con leggerezza e vivacità, ma senza tralasciare il filo conduttore dell’opera, la gelosia.

 I prossimi appuntamenti sono - sempre al Teatro Sala Umberto di Roma - il 12 e il 19 aprile con Casa Godot e il 10 e il 17 maggio con l’Isola Magica.

Marianna Zito

In un mix perfetto di suoni, parole ed immagini, Molly Bloom, ultimo capitolo dell’Ulisse di James Joyce, prende vita al Teatro Vascello, fino al 19 marzo, con lo spettacolo “Bersaglio su Molly Bloom”.

Dopo quattordici anni dal suo debutto (2002), la compagnia Marcido Marcidorjs, con la produzione di Famosa Mimosa, ritorna sul palco per una messinscena spettacolare in ogni suo elemento caratterizzante.

Le parole dello scrittore dublinese vengono trasformate dal regista Marco Isidori, che funge anche da direttore d’orchestra, in una partitura verbale per un coro di otto voci, le cui fila vengono mosse da Maria Luisa Abate, in concerto con: Paolo Oricco, Stefano Re, Valentina Battistone, Virginia Mossi, Daniele Nevoso, Francesca Rossi, Margaux Cerutti.

Parodia di Penelope dell’Odissea, Molly è una moglie sola e tradita che, distesa sul letto vuoto in cui aspetta suo marito, Leopold Bloom, si abbandona al flusso dei suoi pensieri in un monologo inarrestabile senza punteggiatura, nel testo originale, e senza sosta musicale, nella perfomance teatrale.

Ricordi, desideri ed emozioni della protagonista si diffondo sulle voci e nei volti degli otto attori così da creare un prismatico gioco di specchi e di rimandi che amplificano il dolore della protagonista. Immersa nel suo percorso interiore, Molly è una donna che ricerca continue avventure, che tradisce per desiderio e per rancore perché non si sente amata da alcuno.

Secondo una riscrittura drammaturgica fortemente trascinante, lo spettatore viene proiettato nella mente stessa di questa debole ma vitale creatura di cui scopre, mano a mano, una profonda passionalità e malinconia. Lei, in quanto persona irriducibilmente insoddisfatta della vita, è il Bersaglio dello spettacolo, come  emerge dalla scenografia stessa.

L’installazione, ideata da Daniela Dal Cin, vincitrice del Premio Ubu 2003, ha la forma di una grande conchiglia composta di archi di luci intersecantesi che inglobano gli attori stessi, costretti a recitare bloccati ciascuno nella propria nicchia.

A metà tra dei santi in una teca votiva e dei bersagli dello sguardo dello spettatore, la bravura degli attori e del regista riesce ad esprimere, anche grazie alla sbalorditiva architettura in scena, un complesso e vorticoso turbinio di emozioni.

Eleonora De Caroli

Una Regina sanguinaria - vittima di un incantesimo - uomini che la evitano indossando maschere, enigmi irrisolti, teste mozzate. Cosa succede al Teatro Brancaccio?

Fino al 26 marzo troviamo qui - in tutto il suo splendore - Lorella Cuccarini nei panni della bellissima Regina Turandot e Pietro Pignatelli nei panni del coraggioso e innamorato Principe Calaf.

Nel cast - oltre ai ballerini - si esibiscono acrobati che ci lasciano a bocca aperta con i loro salti, così come ci stupiscono le scenografie mobili di Alessandro Chiti e gli effetti scenici tridimensionali che coinvolgono anche il pubblico nelle prime file.

A differenza dell’originale, l’adattamento moderno di Maurizio Colombi - che ha firmato anche Rapunzel e Peter Pan - vede l’inserimento e la rivisitazione di alcuni personaggi che rendono lo spettacolo adatto a grandi e piccini.

Turandot è l’opera lirica incompiuta di Giacomo Puccini ispiratosi a un’antica fiaba persiana; dopo la sua morte verrà completata da Franco Alfano; le musiche di Davide Magnabosco non tradiscono del tutto l'originale, possiamo infatti ascoltare proprio qui la nota Nessun Dorma in una versione sì più moderna ma sempre emozionante.

Marianna Zito

L'11 Marzo - al Teatro Moderno di Latina - entrano in scena, con "Ieri è un altro giorno" Gianluca Ramazzotti, Antonio Cornacchione e Milena Miconi, con la regia di Eric Civanyan.

Magistrali anche le prove attoriali di Antonio Conte, Stefania Barca e Alessandro Sampaoli, che accompagnano i protagonisti in una storia di base surreale, ma che diverte e sorprende man mano che si prosegue nello svolgimento della piece.

La storia riprende un tema caro a molti registi che negli anni lo hanno portato in scena, vedasi il famoso film “Il giorno della marmotta” con Bill Murray, nel quale il protagonista si  trova a rivivere la stessa giornata all’infinito.

I protagonisti, nei fatti Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione, volenti o nolenti si trovano a condividere lo stesso destino, due personaggi in cerca di “giustizia”, il primo dal punto di vista lavorativo e l’altro dal punto di vista amoroso.

Due personaggi che all’inizio restano spiazzati dalle situazioni surreali che man mano si propongono, ma che imparano a conoscersi nell’evolversi della storia e che alla fine capiranno di avere molte più cose in comune di quelle che pensavano. Entrambi gli attori tengono benissimo le redini della commmedia, mostrando un’esperienza recitativa di alto livello.

Tutto si svolge in un’unica ambientazione,abbastanza curata, che è l’ufficio dell’avvocato Paolucci e rappresenta appieno il ceto alto dell’avvocatura della Roma bene.

In queste due ore circa di spettacolo, si  ride spesso, a volte ci si sorprende, unica pecca alcuni clichè già triti e ritriti, come il tema nel già citato "Il giorno della marmotta" o il più recente “Senza domani” con Tom Cruise.

Ottima occasione per vedere qualcosa di divertente al Teatro Moderno di Latina fino a domenica 12 marzo.

Pamela Caschera

L’Associazione culturale, La Fabbrica dell’Anima, porta in scena al Teatro Lo Spazio fino al 12 marzo, “Ascoltami”, regia di Antonella Granata con le coreografie di Manuel Parrucini, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma.

Ascoltami è uno spettacolo in cui voci, corpi e suoni si uniscono nel profondo in modo da creare un vero e proprio percorso di visione e ascolto.

La pièce cerca di rappresentare, da un lato, alcuni dei momenti più delicati nella vita di una donna dove il desiderio d’essere ascoltata e amata difficilmente viene compreso; dall’altro il tentativo degli uomini di entrare in relazione con un mondo diverso e complesso in cui lo stesso contatto con l’altra viene vissuto in modo contrastante.

Con un sapiente gioco di luci che illumina i due palchi del teatro, le parole taglienti e dolorose dei monologhi si alternano ai movimenti coinvolgenti della danza in una rappresentazione dedicata all’ascolto di sé, dell’altro e dell’emozioni che ci uniscono e, contemporaneamente, allontanano.

Eleonora De Caroli

 

 

 

"Un uomo in una donna, anzi un dio, tramite la sua bocca parla".

                                                                 - Michelangelo Buonarroti -

Festina lente - Affrettati lentamente è il primo lungometraggio autoprodotto della regista Lucilla Colonna che, attraverso la vita della poetessa Vittoria Colonna(1490-1547), ci permette di rivivere cinquant’anni di Rinascimento italiano.

Di nobili origini, Vittoria Colonna - interpretata da Francesca Ceci - si trova sin da bambina in contrasto con le forze pontificie del tempo. Nonostante la confisca dei suoi beni familiari da parte di Papa Alessandro VI di Borgia e la prematura scomparsa del marito Francesco Ferrante D’Avalos (Diego Bottiglieri), il suo spirito riesce a rinascere e a splendere portandola così a diventare una delle personalità più influenti nella cultura e nell’arte di quell’epoca, non senza circondarsi di personalità determinate e importanti, pensiamo ad esempio al forte legame con Michelangelo Buonarroti (interpretato da Filippo Gili) a Ludovico Ariosto o a Pietro Aretino.

La sua bellezza singolare fortunatamente non fece mai ombra alla sua sensibilità né tantomeno alla sua cultura, con cui anzi riuscì quasi a capovolgere la prospettiva maschilista del tempo. Nella sua ricca biblioteca trovarono posto i libri pubblicati dal grande editore Aldo Manuzio con il marchio di stampa Festina lente, da cui il film prende titolo.

Vittoria Colonna lascia in eredità lettere e versi che la regista raccoglie e studia scrupolosamente per poi donare al pubblico la vita di questa personalità femminile così forte ma che non manca mai di raffinatezza ed eleganza. A tal proposito non dimentichiamo che il Rinascimento è un momento storico - soprattutto rispetto ad oggi - in cui i fogli di carta provenienti dal macero di vecchi stracci avevano un ruolo prezioso e indispensabile .

Un’opera in digitale, con costumi d’epoca, inquadrature e paesaggi selezionati in modo accurato e coinvolgente, attori di spicco e non e le meravigliose musiche e voce di Ornella Saracino.

Festina lente - Affrettati lentamente sarà ospitato dal Cinema dei Piccoli di Roma - all’interno di Villa Borghese - fino a venerdì 10 marzo. Ingresso libero.

Marianna Zito
 

Harry: “Charlie non tutti hanno la tua forza o la tua incoscienza”

 

Bisogna essere “incoscienti” per vivere la propria vita? Forse si…C

 

 

Va in scena al Teatro Quirino di Roma dal 7 al 19 marzo una commedia agrodolce dove viene rappresentato il legame profondo di complicità e menzogna che unisce due uomini nella Londra omofoba degli anni sessanta.

 

 

Harry e Charlie - interpretati rispettivamente da Tullio Solenghi e Massimo Dapporto sono una coppia di barbieri omosessuali “intrappolati” da circa trent’anni in una barberia londinese situata in un sottoscala dove hanno condiviso gran parte delle loro vite irrisolte.

Harry per compensare un istinto materno non soddisfatto e inappagabile ricopre il compagno di amorevoli e soffocanti attenzioni che Charlie accoglie senza entusiasmo e senza la benché minima gratitudine. Charlie è un uomo pieno di sé, un attore fallito che millanta di aver goduto di una certa fama nel mondo dello spettacolo e che - nonostante gli anni trascorsi insieme ad Harry -ancora non riesce a vivere alla luce del sole quest’amore. Ed è forse proprio per tentare di sfuggire al senso di inadeguatezza e di imbarazzo per la sua omosessualità che, in gioventù, si sposò ed ebbe una figlia che mai conobbe.

 

 

Quello di Harry e Charlie è un amore clandestino, vissuto al buio in una società eretta a giudice delle vite degli uomini “Diversi”, nella quale non conta cosa tu abbia fatto ma conta solo la condizione di “Diverso” per la quale si viene condannati senza pietà da leggi obsolete e da sensi di colpa indotti che portano al suicidio.

Nel giro di una notte quei due si incontrano e si scontrano attraverso una serie di battute pungenti ed amorevoli, crudeli e pietose, per spogliarsi delle proprie insicurezze e per confessarsi fino in fondo ed ammettere che il loro è un vero amore che dura da più di trent’anni e che durerà per sempre nonostante la routine e l’insofferenza che la vita costringe ad affrontare.

 

 

È una commedia attuale e senza tempo sull’amore e che induce lo spettatore ad una serie di riflessioni sulla condizione del “Diverso “ e che non può non far riflettere sulle questioni civili legate all’omosessualità ancora irrisolte alla luce del 2017.

 

 

Al Teatro Quirino di Roma dal 7 al 19 marzo

QUEI DUE

Staircase – Il sottoscala

di Charles Dyer, adattamento di Massimo Dapporto

con Massimo Dapporto e Tullio Solenghi

 

 

Rosalba Romaniello

 

Le Carrozzerie n.o.t riportano a Roma, fino al 4 marzo, l’esilarante e grottesco Amleto FX, di e con Gabriele Paolocà.

Bianche tende veneziane, su cui è riprodotta La camera di Vincent ad Arles, stanza d’artista di Vincent van Gogh, un vaso di terra in cui crescono prosecco e Aperol, un MacBook grigio che emette suoni ed animazioni di teschi, questi sono gli oggetti che compongono la stanza-prigione in cui l’Amleto di Paolocà si rinchiude e si dispera.

«Essere e solo essere, questo è il fottutissimo problema» e questo è anche il punto cruciale di un monologo toccante e divertente che, senza perdere la potenza espressiva del testo seicentesco, viene non solo, rivisto e modificato con continue citazioni letterarie (da X Agosto di Pascoli ai testi di Pasolini) ed incursioni nella musica (con Amy Winehouse e Luigi Tenco) e nel cinema, ma anche interpretato con grande abilità, grazie alla capacità dell’unico attore di diversificare la propria voce e postura così da rendere vivi i principali protagonisti del dramma.

Amleto, abbandonato alla propria solitudine, oscilla e barcolla tra una scrivania con PC, da cui riceve messaggi di Orazio ed Ofelia, e una sedia su cui pende un cappio, simbolo di morte, sempre presente in scena.

L’intera performance è, infatti, un alternarsi e un sovrapporsi di parodia e tragedia dove l’elemento shakespeariano della vendetta viene sostituito da quello della solitudine, dell’impotenza, del dolore per la perdita di un padre, per una ricerca di comunicazione e comprensione, sempre più impossibile da realizzare; per un tutti quei modelli e stili di vita che, lontano dall’offrire punti di appoggio e speranza, si rivelano mezzi conformanti ed omologanti.

Questo Amleto è un bambino imprigionato ed alienato; un giovane principe dipendente, per necessità, da un monitor accecante e, soprattutto, icona moderna della predominanza, della vacuità e del senso di dissolutezza a cui un determinato uso della tecnologia, in nostro possesso, può portare.

Eleonora De Caroli

 

 

 

L'intelligenza non avrà peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
 
P.P.Pasolini

 

Il Paese è cieco. Succubi dello sviluppo senza progresso, siamo oramai - o forse da sempre - marionette standardizzate, facilmente manipolabili. Siamo incastonati in un meccanismo consumato, perverso e senza uscita. L’abitudine ci fa camminare tra l’inquinamento, i rifiuti, le malattie e i morti. Non ci ribelliamo, ma l’andatura dei nostri passi è svilita e pigra. Anche l’idea della rivoluzione degli umili è finita.

E poi il futuro?

Sul palcoscenico del Teatro Quirino di Roma Neri Marcorè - con la drammaturgia e la regia di Giorgio Gallione - ci racconta, mai senza un pizzico di satira, quella che è l’Italia oggi e per farlo prende in prestito le opere di due grandi uomini del panorama letterario e musicale italiano, Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De Andrè. Il connubio tra il teatro, la musica di De Andrè e le parole di Pasolini dà vita a uno spettacolo che ci coinvolge emotivamente in prima persona: ne scaturiscono riflessioni di ordine attuale che non rimarranno fini alla rappresentazione stessa.

 ph. Caroli

Le canzoni - appartenenti principalmente all’album Le Nuvole - che nell’immaginario di De Andrèrappresentano i personaggi ingombranti e ingombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica” sono ricostruite grazie all’impeccabile arrangiamento musicale di Paolo Silvestri, la chitarra e la meravigliosa voce di Giuia con Pietro Guarracino e Vieri Sturlini.

ph. Caroli

I testi sono liberamente tratti da La Rabbia di Pier Paolo Pasolini, un saggio di indignazione che ripercorre alcuni avvenimenti realmente accaduti e che rappresentano un atto di denuncia dell’irrealtà e dell’irresponsabilità storica del mondo borghese. Nascono così le storie di ieri e di oggi che ci amareggiano, terrorizzano e sorprendono grazie  alle valide qualità comunicative e interpretative di Neri Marcorè.

Lo Stato ci priva di molto e ci costringe a guardare oltre, oltre le Nuvole: è dolore, è rabbia, è libertà. Il messaggio di Marcorè è un messaggio di speranza: rendere ancora più buia la notte per riuscire ancora a vedere le lucciole. Ma siamo sicuri che quelle luci siano davvero e ancora lucciole?

Un Teatro Musicale assolutamente da non perdere, fino al 5 marzo al Teatro Quirino di Roma.

Marianna Zito

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