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Assassina è un testo di Franco Scaldati autore, attore e regista palermitano scomparso da pochi anni.

La protagonista del palcoscenico dapprima è una vecchina, abilmente interpretata da Enzo Vetrano, che si lamenta della sua condizione di vecchiaia e sembra sia in preda a deliri senili tanto che si mette a litigare con la sua ombra. L'ambiente in cui si viene catapultati è un ambiente onirico costituito da un rudere situato in un antico quartiere palermitano: una vecchia casa con pochi ed essenziali suppellettili, sullo sfondo un quadro animato da fantasmi, i genitori dei due personaggi (i Fratelli Mancuso), che incalzano con incisi musicali il ritmo della narrazione mentre sullo sfondo scorrono le immagini della città di Palermo.

La vicenda narrata vede in scena due protagonisti: la vecchina e l'omino (Stefano Randisi) che condividono gli stessi spazi ignari l'uno della presenza dell'altro fino a quando il contatto non diventa inevitabile. Da tale incontro ne scaturisce una situazione surreale che sovrappone, fino a confondere, la realtà con il sogno, l'identità e l'alterità, la giovinezza e la vecchiaia, la vita e la morte. Dai battibecchi, dagli interrogatori, dalle accuse e dalle smentite dei due protagonisti si evince l'importanza del corpo scenico, del movimento, del gesto, della voce e dell'intenzione che danno una tonalità comica e anche grottesca al testo di Scaldati.

Il pubblico resta meditabondo pensando al titolo della pièce teatrale "Assassina" e sulla reale entità dei due protagonisti che sembrerebbero essere due raffigurazioni della stessa persona in età diverse, si potrebbe pensare anche a un proprio doppio maschile e femminile tanto che la femminilità della vecchina risulterebbe dubbia. La linea guida di questa ricerca di verità è il sentimento tragico dell'esistenza che immerge lo spettatore in un'atmosfera tragicomica, la quale non tenta di dettare nessuna morale ma fa riflettere, fa ridere, fa commuovere e stupisce. Dunque, “Assassina potrebbe essere la vita, assassina di sogni, di illusioni e di gioie grandi e piccole, assassina di se stessa”.

Sicuramente uno spettacolo da non perdere anche per la simpatia del dialetto siciliano, per il quale vengono fornite le traduzioni in italiano dei vocaboli utilizzati nella prosa dall'attore Stefano Randisi che riesce a catturare tutta l'attenzione del pubblico, uno dei principali protagonisti del palcoscenico testimone della realtà del luogo che Scaldati rappresenta nella sua opera.

All’Arena del Sole di Bologna fino a domenica 5 febbraio.

 

Marianna Tota

Foto di Luca del Pia

 

È il momento di Edipo al Teatro Eliseo di Roma. L’Edipo Re e l’Edipo a Colono di Sofocle vengono rispettivamente portati in scena, nella stessa serata, dalla Compagnia Mauri-Sturno con due regie appartenenti a due differenti generazioni e con una diversa concezione di teatro: Andrea Baracco e Glauco Mauri.

Due opere - l’una conseguente all’altra - che vedono,  nella prima, Roberto Sturno nelle vesti di Edipo mentre l’anziano Edipo - ormai cieco - nella seconda è interpretato dallo stesso Glauco Mauri che, invece, nella regia di Baracco parla al pubblico con la bocca di Tiresia: una cecità che accompagnerà, quindi, l’attore, in entrambe le rappresentazioni.

Andrea Baracco ci porta davanti a una scenografia unica e compatta - composta da esterni e interni immaginati - che muta notevolmente grazie alle proiezioni di luci e immagini che si aprono e chiudono sullo sfondo - e che permettono alla scena di abbandonare il buio su cui è stata costruita. Ai piedi dei personaggi una pozza d’acqua, elemento di purificazione e di transizione che rappresenta ora la vita - come nascita, entità unica, primordiale ed eterna - ora la morte - come epilogo di molte tragedie e distruzioni. Un'acqua che spazza via i corpi della peste - bambole fatte corpi - tra cui Antigone e Ismene: non è la prima volta che una figura senza anima compare nel lavoro di Baracco. Elemento costante in tutta la tragedia è una carrozzina che - assieme agli abiti dei protagonisti - ci riporta in tempi più moderni, e che rappresenta un chiaro riferimento all’Edipo pasoliniano del 1967. 

Scena dal film Edipo Re di Pier Paolo Pasolini, 1967

Ivan Alovisio è unico e solo a osservare e a dar voce a un coro di uomini e accanto a un Edipo che deve affrontare la sua rabbia nevrotica, che qui va quasi a sopraffare il dolore, troviamo  una provocante Elena Arvigo nel ruolo di Giocasta e un superbo Roberto Manzi nell’abito di Creonte; mentre sulla scena si muovono altre figure sempre in vesti moderne che sembrano quasi un abbellimento inutile della scena stessa, così come altri accorgimenti di ispirazione attuale. L’immagine finale è una danza che piano piano sfuma la storia fino alla fine di questo amore inconsapevolmente incestuoso.

La vita del misero, ormai vecchio e cieco, Edipo continua con Glauco Mauri che riporta in scena il suo Edipo a Colono in una scenografia minima, bianca e luminosa fatta di cubi sovrapposti - dimora delle Erinni - e di corpi nelle tipiche vesti della tragedia classica. Avviene qui il riscatto spirituale di Edipo rispetto agli avvenimenti precedenti, attraverso dialoghi che assumono la lunghezza di lenti monologhi che appesantiscono il tutto, risollevato dalla magnifica interpretazione dello stesso Mauri. I personaggi fanno il loro ingresso scoprendo i loro volti, rivelandosi al pubblico quasi di sorpresa, tra loro anche Antigone e Ismene che - in questa seconda parte - assumono sembianze umane.

La presenza degli stessi attori in ruolo differente fa sì che le due messinscena mantengano una continuità nella storia, così come appunto accade negli originari testi di Sofocle. Un appuntamento veramente interessante e da non perdere, al Teatro Eliseo di Roma fino al 12 febbraio.

 

Marianna Zito

foto di Manuela Zito

Una breve avventura -  quella che ci propone Meri Nigro - tra parole, poesie e immagini.

Una serie di meriloqui - giochi di parole - a voler spiegare sentimenti profondi o, perché no - la vita stessa.  Forse pensiamo troppo o forse troppo poco;  tante domande, troppo poche le risposte o forse - alla fine - sempre troppo semplici.

 

 I pensieri e le illusioni giocano tra loro creando dalle poesie più semplici a quelle più dolorose, fino a veri e propri dialoghi brillanti e singolari. Il filo comune rimane la parola,  utilizzata da diverse sfaccettature per spiegare la realtà e l’interiorità più nascosta dell’autrice, che presta il proprio nome alla sua opera.

Quarantasei scritti per liberare le emozioni, che ci narrano del tempo, del costruire o del distruggere - così come ci va - e della volontà, unica e sola in grado di farci rinascere da ciò che è stato, dal nostro passato: un nuovo viaggio da una angolatura differente.  

 

L’autrice Meri Nigro (Ceglie Messapica, 1982), esordisce nel 2010 con "il mendicante di pensieri" (Edizioni La Gru), romanzo vincitore del premio della critica al "Premio Valentina 2011" e vince il premio "Zero a Zero 2014" con il racconto "il cielo tra le righe". Pubblica nel gennaio 2015 il romanzo "In dispensa, bile" (Edizioni la Gru).

 

Marianna Zito

 

Una performance divertente e variegata sui rapporti di coppia - tratta dal testo di Léonore Confino - quella di Michela Andreozzi e Massimiliano Vado (insieme sulla scena e nella vita)  al Teatro della Cometa fino al 29 gennaio

Ring non è solo il titolo che ci porta subito alla mente un combattimento di pugilato (o forse anche l'anello nuziale?), ma è un ring anche la scenografia che riduce il palcoscenico al piccolo perimetro dove prenderanno vita i litigi, le paturnie, le risate e gli abbracci dei due protagonisti.

Si comincia con Adamo ed Eva, poi la coppia romana, quella napoletana, del Nord fino a finire in Francia e così via per diciassette volte. Diciassette incontri o scontri differenti affrontati con grande abilità interpretativa da parte dei due attori, che non fanno altro che mostrarci la vita a due e le varie opzioni per affrontarla e per dimenarvisi nelle varie fasi che la caratterizzano, fino ad arrivare al round finale, quello de La grande fuga, il momento cruciale per riprendere in mano le redini della situazione senza farsi abbattere dalle abitudini quotidiane. Per poi scoprire che il momento più importante è sempre e solo adesso.

Fuori campo, quasi come una malinconica colonna sonora, sentiamo la voce di Rino Tommasi nel memorabile incontro del 1974 tra Muhammad Ali e George Foreman: un incontro rimasto leggenda. Da non perdere!

 

Marianna Zito

I dodici racconti di Emilio Nigro sono un viaggio introspettivo nella quotidianità moderna dove si palesano - sotto vari punti di vista - i malesseri causati nell’individuo dal dettame politico e societario. Questi malesseri sono resi manifesti nelle descrizioni di azioni o pensieri, a volte così usuali e meccanici - spesso scontati e banali da descrivere - che portano con sé,  allo stesso tempo, incertezze e paure.                                                     Il filo comune di queste storie a sottofondo blues è una sorta di fragilità esistenziale, legata a un animo che sa sì stare al mondo ma che ne assorbe i dolori vivendo di un “sentire” altro, di una continua ricerca legata alla perenne insoddisfazione dei poeti - quale è l’autore.

 Nigro ci consegna la realtà che osserva con un linguaggio teatrale e colloquiale - il nostro - che utilizziamo o ascoltiamo grazie ai social o agli strumenti mediatici, intrisi oramai più di menzogne che di vita.

PROVINCIA CRONICA (Teomedia, 2016)

Siamo italiani e questi scritti ci raccontano le ripercussioni che proprio il bel Paese ha sui suoi figli, ci parlano del governo e delle leggi che ci infligge e con cui ci affligge. L’Italia, il centro e il sud. Quel sud che ci tiene ancorati alle sue tradizioni, che non ci perdona quelle blasfemie o quella malavita di cui in fondo è il primo fautore, se non proprio il precursore. Quel sud che serba nella memoria i racconti nostalgici - che solo chi ci è nato lo sa - di quando eravamo bambini e che ci ha avvolto di catene poi, quando - senza capirlo - stavamo diventando adulti senza lavoro, obiettivi o futuro; ma con l’obbligo di avere sempre qualcosa da dimostrare agli altri e a noi stessi.

Un altro sentimento ricorrente è la nostalgia amara di ciò che poteva essere, la mancanza di Lei o di un’altra che lascia spazio alla vera protagonista: la profonda solitudine riempita dalla  scrittura che diventa fuga - o rifugio dell’immaginazione - o se non proprio l’unica redenzione mentre il resto del mondo resta immobile, immutato nel rimpianto.

Ci naufraga così, la vita. E insieme a essa naufragano anche le nostre gioie e i dolori: un abisso infinito fatto di sentimenti precari e di un cinismo comandato dalla noia che ci vede attori nella Provincia Cronica - incurabile - della nostra anima.

 

Marianna Zito

 

I tre tragici greci tornano a rivivere sotto nuova luce nella Torre Elettra di Giancarlo Nicoletti, messa in scena dalla compagnia Planets Arts Collettivo Teatrale al Teatro Brancaccino fino al 29 gennaio.

Torre Elettra è uno spazio urbano immaginario le cui dinamiche interne hanno, tuttavia, tratti contemporanei ed universali tali da renderla una plausibile città futura. In questa periferia ai margini, palcoscenico di incendi e violenze quotidiane, lo spettatore assiste alle vicende di una famiglia perfettamente inserita in questo contesto politico, tanto da gestirne le sorti, ed al tempo stesso, caratterizzata dalle stesse ferite dilanianti. La scenografia semplice sembra aumentare lo spessore della tragedia e delle questioni universali che i cinque protagonisti si trovano a vivere: ognuno di loro è coinvolto in una personale guerra ed ognuno di loro è legato all’altro da un filo quasi doppio, parentale e sessuale.

Il paradigma classico rappresentato dalla trilogia eschilea e dalla figura di Elettra, nella duplice versione di Sofocle ed Euripide, non solo subisce le contaminazioni della drammaturgia moderna ma viene opportunamente calata nelle contraddizioni della contemporaneità, così da produrre una perfomance teatrale attenta alle recenti involuzioni del concetto di democrazia occidentale, di giustizia e di vendetta personali. 

 foto di Luana Belli

Lo smarrimento di senso dell’uomo moderno, rappresentato dalle sarcastiche e dissacranti battute di Olimpia (Cristina Todaro) e il rapporto dialettico fra il singolo e lo Stato, a cui danno corpo e voce, le due opposte figure di Sergio (Matteo Montalto) e Valerio (Alessandro Giova) fanno da cornice ad un microcosmo familiare in cui si affrontano temi altrettanto universali ed attuali: il bisogno dell’autodeterminazione del singolo, evidente soprattutto nel ruolo di Velia (Liliana Massari) trasposizione di Clitemnestra, nonché  il reiterarsi della complessità dei rapporti di sangue. Il legame fraterno tra Alma (Valentina Perrella) e Flavio (Luciano Guerra) tenta, infatti,  di rappresentare il rapporto tra Elettra ed Oreste, ossia la complessa relazione che intercorre tra la giustizia e la vendetta come unica soluzione per riparare un torto subito.

L’immediatezza e la grandezza tipiche del teatro greco in Torre Elettra vengono ripensate in termini di attualità e scritturate liberamente secondo una linea - stilistica, contenutistica e drammaturgica - nuova e dalla carica emotiva intensa.

 

Eleonora De Caroli

Continua il progetto creativo Special Guest al Teatro Eliseo dove - dal dicembre scorso - giovani talenti hanno la possibilità di condividere il palcoscenico con grandi artisti di fama internazionale appartenenti alla musica jazz e popular.  

Quattordici concerti e sessanta live performance che - fino a giugno - ci faranno alzare gli occhi verso il futuro grazie a 350 giovani del Saint Louis College of Music (con la direzione artistica di Stefano Mastruzzi) uniti dalla fervente passione per la musica. Il palcoscenico del teatro diventa, quindi, il luogo concreto dove sviluppare la creatività musicale e diventa soprattutto un luogo di confronto, comunicazione e contatto con il pubblico.

L’Open Act del secondo appuntamento ha visto l’esibizione de IL CORO DEL RISUONARE, 40 ragazzi diretti da Diego Caravano, seguito dalla  coinvolgente esibizione degli Atrìo accompagnati dalla tromba dello straordinario Fabrizio Bosso. I tre giovani artisti - Gianluca Massetti al piano, Dario Giacovelli al basso e Moreno Maugliani alla batteria -  hanno regalato un’atmosfera piacevole e coinvolgente - abbracciata dalle calde note del jazz - con un repertorio originale e caratterizzato da un’impronta contemporanea che abbina semplici melodie all’energia del ritmo, obiettivo di ricerca costante. Ogni pezzo è arrangiato personalmente da ognuno dei tre componenti che danno vita, in tal modo, a un risultato finale dotato di una connotazione unica.

Nei prossimi appuntamenti di Special Guest al Teatro Eliseo troveremo Peppe Servillo, Javier Girotto, Antonella Ruggiero, Kurt Elling, Rosario Giuliani, Vince Mendoza e altri ancora. Assolutamente da non perdere!

 

Marianna Zito

23 | 24 |  25 gennaio 2017

TEATRO HAMLET

La Compagnia delle Origini

 presenta

Uccelli del Paradiso

 

“Un attimo, un istante, le emozioni travolgono tutto.

Ogni sentimento viene annullato e ridotto al suo stato originario. Le barriere crollano,

tutto diventa un flusso irrefrenabile di impulsi, impuri e fragili, vittime degli eventi.”

 

Così recita il prologo che apre lo spettacolo, mentre la scena svela una tipica stanza di un manicomio. È il 1978, G. è un’imprenditrice in carriera, intraprendente e sicura di sé, ma anche una moglie annoiata, infelice e per questo infedele. La sua lucidità crolla all’improvviso quando scopre il tradimento del marito. Le basta un attimo per riscoprire la sua grande paura di essere abbandonata e un attimo per uccidere l’uomo e l’amante tagliandogli la testa. G. scappa e chiede aiuto ad A., suo amante e Direttore di un manicomio. A. la ama profondamente e decide di inserirla nella struttura che dirige per proteggerla e curarla.

Le cure che il Direttore immagina possano farle del bene, in realtà si rivelano essere soprusi e torture che la donna subisce da parte degli infermieri, tanto da ridursi a rifiutare il cibo e a non rivolgere parola a nessuno. Un evento esterno porterà un cambiamento drastico nella vita della paziente G.

Il disegno registico proietta lo spettatore sull’esperienza che la protagonista vive all’interno della stanza in cui è rinchiusa, concentrandosi sulla costruzione di una dimensione surreale resa attraverso i personaggi degli Specchi. Questi tre personaggi-oggetti, interpretati da attori-danzatori, interagiscono solo con la protagonista e rappresentano le sue proiezioni mentali, parti di se stessa che G. vede ma non riconosce, le cui voci la trasportano continuamente al giorno dell’omicidio, costringendola a riviverne il trauma.

Lo stato semi-cosciente in cui G. si trova, può essere considerato il baricentro che regola la divisione tra sogno e realtà, un baricentro che metaforicamente indica lo stato di confine tra una dimensione fatta di colori, di sfumature, di immaginazione e di libertà, all’interno della quale è possibile sentirsi come Uccelli del Paradiso e una dimensione governata solo da leggi, false ideologie, costrizione e sopportazione.

 

LA COMPAGNIA

“La ricerca e sperimentazione che portiamo avanti affondano le loro radici nella necessità di portare alla luce eventi o idee spesso censurati nella vita di tutti i giorni, che creano una sorta di privazione sociale ingiustificata. L'obbiettivo che ci poniamo nel proporre questa tipologia di lavoro è quello di coinvolgere chi guarda all’interno di un ragionamento più ampio e lontano dai canoni classici. Di coinvolgerlo appunto in una spirale di condizionamenti mirati a farlo riflettere, instaurando a volte una "paura" positiva, ma atavica. Questo processo porta alla luce ciò che la società tenta di nasconderci, oscurarci. Nelle storie che raccontiamo, già di per sé riflessive, poniamo domande, creiamo riflessioni sotto diverse luci e punti di vista per meglio riconoscersi in ciò che li si vede, ma nel vero viene nascosto.”

 

Uccelli del Paradiso

TEATRO HAMLET

Via Alberto da Giussano, 13 Roma (Pigneto)

 

Regia:

Riccardo Merlini

Con:

Domizia DAmico Simona Sorbello Carlotta Sfolgori Antonella Petrone Valerio Francesca La Scala Macellari Lorenzo DAgata

 

Assistente alla regia

Domizia DAmico

 

Foto di scena

Andrea Mercanti

 

Ufficio Stampa

 Thèatron 2.0

comunicazione.theatron@gmail.com

https://www.theatron-2-0.org/

 

Spettacoli ore 21.00 | Biglietti : 12 euro intero - 10 euro ridotto

 

Info e prenotazioni

 email compagniadelleorigini@gmail.com

cell. 3202831121

 

L’ESILARANTE COMMEDIA “I MENECMI” DI PLAUTO, ADATTAMENTO E REGIA DI VINCENZO ZINGARO,  APPRODA SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO ARCOBALENO DAL 29 DICEMBRE 2016 ALL’8 GENNAIO 2017

 

Dal 29 dicembre 2016 all’8 gennaio 2017 al Teatro ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico) di Roma torna in scena a grande richiesta per le feste natalizie il divertentissimo capolavoro della commedia classica I MENECMI, di T. M. Plauto, con l’adattamento e la regia di Vincenzo Zingaro, un fiore all’occhiello della prestigiosa Compagnia Castalia, che inaugura il 25° anniversario della sua nascita. Adattamento e Regia Vincenzo Zingaro, con Piero Sarpa, Annalena Lombardi, Riccardo Graziosi,  Rocco Militano,  Ugo Cardinali, Fabrizio Passerini, Laura De Angelis, musiche di Giovanni Zappalorto,  costumi di Emiliana Di Rubbo, scene di  Vincenzo Zingaro, luci di Giovanna Venzi.

 

 

Prototipo della commedia degli equivoci, provocati dall'identità fra due personaggi,  “I MENECMI” hanno ispirato celebri autori come Shakespeare e Goldoni.  Due gemelli, con lo stesso nome, separati da bambini, si trovano a loro insaputa nella stessa città: una combinazione che scatena situazioni comiche ed esilaranti scambi di persona. Ma questo divertente “gioco del doppio” cela, in realtà, qualcosa di più profondo… L’originale messinscena di Vincenzo Zingaro, ricca di irresistibili trovate, esalta lo spirito ludico della commedia plautina e, al tempo stesso, ne proietta il significato in una dimensione metafisica, attraverso una rappresentazione onirica e coinvolgente. Un’occasione da non perdere, per chi voglia trascorrere una serata coniugando cultura e divertimento, per ritrovare nel Teatro un incontro davvero speciale. Un gioioso appuntamento con la grande commedia classica, da condividere con la famiglia durante le feste natalizie. 

Artaud, uno dei più autorevoli teorici teatrali del ‘900, nel celebre saggio “Il teatro e il suo doppio”  - afferma Vincenzo Zingaro - sosteneva il superamento della tirannia del testo sullo spettacolo, in favore di un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, suono e parola.  Il Teatro Antico è stato il primo esempio di “teatro integrale”. Le commedie greche e latine contengono un universo fatto di gesti, danza, musica e parola. Immergendoci, quindi, nel magico gioco della Commedia Antica, troviamo il germe di una teatralità pura, volta, a trecentosessanta gradi, al coinvolgimento dello spettatore, come elemento attivo della rappresentazione. Da questo input di fantasia e di libertà creativa, la possibilità di rielaborare trame e geometrie del racconto che travalicano i secoli, offrendoci lo stimolo a una creazione scenica autonoma, in grado di dialogare con il presente, consapevole della ricchezza di un percorso che sancisce il suo essere nella contemporaneità. Artaud, inoltre, spiegava il suo concetto del “doppio”, sostenendo che “se il teatro è il doppio della vita, la vita è il doppio del vero teatro”, nel senso che il vero teatro non è la mera riproduzione della realtà quotidiana, ma piuttosto la ricerca di una realtà archetipica e si distingue perciò come un rito, volto a svelare l’essenza più profonda delle cose. Questa concezione epifanica del teatro e dell’arte la dobbiamo al mondo classico antico che, attraverso il concetto aristotelico di mìmesis definisce la rappresentazione artistica non come una pedissequa imitazione del mondo sensibile, ma come una rivelazione del principio metafisico che sottende l’esistenza.

Nel percorso di studio e di rilettura del teatro antico, che affronto da anni, I MENECMI, al di là della godibile trama elementare, mi offrono, quindi, l’occasione di entrare in profondità in un discorso sul teatro e la vita, giocando e, allo stesso tempo, indagando sul concetto del “doppio”, che offre molteplici ed affascinanti punti di vista.

Di qui l’idea di un Teatro all’interno del palcoscenico, un Teatro replicato, in cui frammenti di scenografia sono disposti in modo da creare  uno “specchio metafisico” che avvolge i personaggi e ne dilata l’azione oltre i confini del reale. Essi prendono vita da quel Teatro replicato, come dal “luogo dell’immaginazione” e lo fanno apparendo in forma stilizzata, retaggio di antiche maschere che hanno travalicato secoli, per riversarsi nella concretezza della rappresentazione. In questo gioco di rimandi, si consuma un viaggio, una ricerca.

E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, i grandi flutti del mare, il lungo corso dei fiumi, le profondità dell’oceano, il volgere degli astri… e si dimenticano di se stessi

Iniziare lo spettacolo con questo pensiero di S. Agostino ha per me il significato di un seme, gettato in un solco che attraversa l’intera rappresentazione, una provocazione a considerare la vicenda in una prospettiva diversa. La prospettiva di un viaggio interiore alla ricerca di se stessi, nel quale l’incapacità di “vedere” si risolve solo nel momento in cui ci si abbandona a un profondo atto di “fede”. Il Teatro, luogo di tutte le arti, può rivelarsi indispensabile. Indossare una maschera diventa così il gesto simbolico di un anima disposta a mettersi in gioco, per affrontare un grande viaggio dello spirito”.

 

Dal 29 dicembre 2016 all’8 Gennaio 2017

il giovedì, venerdì e sabato alle ore 21,00 – la domenica alle ore 17,30

SERATA SPECIALE CAPODANNO sabato 31 DICEMBRE alle ore 22,00 - Biglietto € 45,00

 

TEATRO ARCOBALENO (Centro Stabile del Classico)

Via F. Redi 1/a - 00161 Roma

Tel./ Fax 06.44248154 - Cell. 320.2773855

e-mail: info@teatroarcobaleno.it

sito: www.teatroarcobaleno.it

Il 22 e il 23 dicembre il Teatro Quirino di Roma - dopo 10 anni - ci riconduce nella fiaba de Lo Schiaccianoci con il Balletto di Roma. La drammaturgia moderna e noir di Riccardo Reim rivisita l’opera tradizionale con le musiche di Pëtr Il’ič Cajkovskij e con la partecipazione straordinaria di Andrè De La Roche nel ruolo di Schiaccianoci/Fata Confetto.

I costumi sono fastosi e ricchi di colori nei momenti di gioia e nella rappresentazione di danze nel mondo, mentre si affidano al bianco e al nero per le parti più drammatiche: dipingono, in questo modo, le coreografie - di Mario Piazza - che coinvolgono non solo nei movimenti ma anche attraverso le espressioni, i sospiri i suoni dei ballerini.  Lo sfondo scenografico - di Giuseppina Maurizi - è ricco di specchi e di elementi barocchi, ma non mancano elementi tipici dell’infanzia e le luci che sfavillano su tutto il palcoscenico. Una fiaba che quasi perde la tradizionale atmosfera natalizia portandoci, invece, nei meandri oscuri dell’animo postmoderno e molto più legata al racconto originale di Hoffmann, Schiaccianoci e il Re dei topi del 1815.

La piccola e maliziosa Clara è prigioniera dei suoi incubi - in questo caso racchiusi in uno Schiaccianoci - che la accompagnano nel passaggio, attraverso uno specchio,  dall’infanzia verso una nuova vita.  Al suo fianco c’è il fratello Fritz che la protegge morbosamente attirandola a sè con dolci infantili e abbracci passionali, oltre il loro legame di sangue. Insieme osservano in modo distaccato - su molteplicità schermi televisivi - la futilità della vita e la propria solitudine.

 

Marianna Zito

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Poesie

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