In scena fino a domenica 6 dicembre - al Teatro dell'Orologio di Roma - l'Antigone diretta e interpretata da Filippo Gili.
Come in un tribunale, si snoda la vicenda di Sofocle attraverso dialoghi filosofici e deliranti tra i vari personaggi che si spostano - a passi pesanti - da una parte all'altra della scena, tra il pubblico e dietro le quinte. Antigone è disperata, vuole seppellire il fratello Polinice andando contro la volontà dello zio e re di Tebe, Creonte. Creonte è infuriato e condanna a morte la giovane nipote, nonché promessa sposa di suo figlio Emone. Fino alla tragedia.

Personaggi un po' moderni e con accento emiliano, un po' shakespeariani, oscillanti tra la pazzia e l'ironia, che giocano con le parole e gli intensi sguardi. Da un Creonte analitico - dedito al rispetto delle rigide regole della polis_ - a un _Antigone folle e disperata - che ci mostra la figura femminile che vive colpa e sottomissione - si sviluppa un'attenta analisi psicologica umana verso l'accettazione del cambiamento di idea e azione. Non manca il mito di Tiresia, immobile su una sedia a rotella, a distribuire saggezza e preveggenza per la salvezza del popolo di Tebe.
La messa in scena di un classico per mostrare i conflitti che attanagliano i nostri animi, soprattutto davanti a situazioni reali e definitive come può essere la morte stessa.
Marianna Zito
Foto di Matteo Nardone









L’amore impossibilitato è un vortice a cadere.“Il vuoto del corpo blindato a quattro mandate” è la sua prigione - fredda - come la neve bianca a racchiudere in sé tutti i dolori possibili che ne derivano. I dolori nascono in concomitanza con la forte assenza, con il desiderio dell’oramai consumata passione e svaniscono con il sale: il sale scioglie la neve così come la lacrima scioglie ogni dolore. In questo corpo il calvario, il luogo del pensiero dove tutti i sentimenti vengono crocefissi, è il cranio.