della vita, dell'amore, dell'arte e altro ancora

modulazioni temporali



modulazionitemporali@gmail.com

Blog

Questa opera incompiuta di Pirandello pubblicata nel 1931 su "la nuova antologia", è sostanzialmente il primo atto dei Giganti della montagna. Nel testo racconta la storia della villa della Scalogna e dei suoi abitatori, Cotrone e gli Scalognati, persone che si sono rifugiate in questa villa per buttarsi alle spalle la vita vissuta tra le brutture della quotidianità. Gli Scalognati ricevono la visita di una compagnia girovaga di attori laceri, affamati, randagi; la vicenda si conclude così. Il regista Nanni Garella ha immaginato che l'incontro degli Scalognati con la compagnia di attori producesse una serie di racconti e favole tra le quali anche lo stesso incontro degli attori che arrivano alla villa della Scalogna che forse andranno sulla montagna e, forse, troveranno i Giganti. Dunque il regista ha assunto il testo come materiale in sviluppo e ha lavorato, per la messa in scena, con gli attori di Arte e Salute, laboratorio di drammaturgia dove è avvenuta la costruzione dei personaggi, lo sviluppo del testo, l'apprendimento delle parole e dei gesti. Il progetto è condotto in collaborazione con "Teatro e salute mentale" della regione Emilia-Romagna.

Gli attori di Arte e Salute sono i protagonisti dello spettacolo, gli Scalognati, che sembrano dispersi in un paesaggio deserto, surreale, popolato di presenze, racconti, fatti immaginati o recitati. Sul palco vediamo schierati come in un duello corale, gli Scalognati e la compagnia di attori girovaghi capeggiati dalla Contessa (Pamela Ginnasi). Gli attori rimangono sul palco coperto di teli color avorio e una luce soffusa che contribuiscono a creare un ambiente surreale, non ci sono cambi di scena, i dialoghi dischiudono interessanti colpi di scena grazie a un rapporto intercambiabile tra fatti reali e vicende narrate.

Durante la rappresentazione teatrale scaturisce il dramma psicologico individuale, i fantasmi interiori della persona si moltiplicano e si concretizzano al punto da confondersi con la realtà; la persona non diventa il personaggio ma i personaggi, in linea con il tema della scissione dell'io pirandelliano del novecento. Con l'opera Fantasmi capiamo quanto attuale possa essere Pirandello in relazione al dramma dell'uomo-persona-personaggio nella società attuale e, in particolar modo, nei pazienti psichiatrici. Nello spettacolo di Garella l'allucinazione, il fantasma interiore, diventa immaginazione palpabile per una drammaturgia unica e irripetibile.

Marianna Tota

Foto di Luca Del Pio

La compagnia Anagoor torna a mettere in scena Giorgione dedicando al pittore di Castelfranco Veneto un intero spettacolo di narrazione.

Se in Tempesta (segnalazione speciale al Premio Scenario 2009), il pittore veneto è evocato, in Rivelazione - Sette meditazioni intorno a Giorgione, al Teatro India fino al 19 febbraio, la regia di Simone Derai, con l’aiuto di Laura Curino, traccia una biografia dell’artista attraverso parole, documenti, versi poetici, immagini delle sue opere e frammenti di una Venezia tra il XV e XVI secolo.

In scena un solo attore, Marco Menegoni, solo con la sua voce coinvolgente; alle sue spalle, due schermi su cui si susseguono proiezioni di paesaggi, volti, piccoli ma espressivi dettagli di opere pittoriche giorgionesche.                                                           In questo percorso le sette opere del pittore (la Pala, i Ritratti, la Venere Dormiente, la Giuditta, i Tre Filosofi, la Tempesta, il Fregio) offrono la base per delle meditazioni (silenzio, natura umana, desiderio, giustizia, battaglia, diluvio e tempo)  sul tempo dell’autore (dalla sua biografia ai suoi personaggi ritratti) e sul tempo di chi guarda ed indaga le sue intenzioni espressive. Questa ideale costellazione permette di dischiudere i confini fisici della tela, di allargarne gli elementi più significativi fino ad arrivare a quel mondo che l’ha prodotta ed al nostro mondo che la osserva con incanto e curiosità.

Una lezione d’arte per svelare e raccontare una delle personalità più enigmatiche della nostra storia; una lettura in cui la parola, poetica e precisa, insieme ad una combinazione perfetta di suoni e musiche, non solo, riesce a far rivivere l’immagine ma riesce anche a guidare lo spettatore  alla scoperta di una storia intima che porta a rivelazione l’essenza pittorica dello stesso artista.

Eleonora De Caroli

 

Il Sala Uno Teatro di Roma ospita Social Comedy: intrigo a via Doganelli, primo testo teatrale italiano che affronta il tema dell’accoglienza e della protezione dei rifugiati.

L’opera di Maurizio Zacchigna, con la regia di Marko e Tina Sosič, commissionata dall’ICS, Consorzio Italiano di Solidarietà - Ufficio rifugiati di Trieste, è basata su un lavoro di confronto che l’intera compagnia teatrale (Manuel Buttus, Roberta Colacino, Daniele Fior, Adriano Giraldi, Marcela Serli) ha svolto a stretto contatto con gli operatori del centro stesso.

La quotidianità di una Onlus viene, infatti, rappresentata grazie alla messa in scena di un susseguirsi di vicende che coinvolgono quattro operatori sociali, l’uno l’opposto dell’altro ed ognuno alle prese con le proprie battaglie ideologiche; l’autorevole responsabile del Centro ed un regista teatrale in crisi. Il trasloco in un’altra sede, che porterà il gruppo a contatto con una realtà apparentemente intollerante e xenofoba (personificata dalla signora Devotich) e l’arrivo di otto afghani, da cui si svilupperà una love-story omosessuale, sono due degli eventi intersecantesi che gli attori, in un mix di realistico, verisimile e fantastico, si troveranno a dover affrontare.

Cinque sedie bianche scandiscono i ritmi e definiscono movimenti e ruoli dei personaggi rappresentando una scenografia minimalista ma dinamica mediante cui lo spettatore è portato all’interno di un centro d’accoglienza e da cui può assistere a continui equivoci, colpi di scena e momenti di riflessione profonda.

Lontana dall’enfatizzare atti eroici o primati etici, Social Comedy si focalizza sull’attività giornaliera di una Onlus, sulle sue sfide e su i suoi tentativi di trovare risposte concrete.Tramite un linguaggio scenico semplice ed ironico, si configura come una commedia pop esilarante e capace di interpretare temi di grande attualità e di emergenza sociale.

Eleonora De Caroli

Foto di Davide Maria Palusa 

La scenografia cubica che abbiamo di fronte ci riconduce subito ad Andrea Baracco: grandi strutture trasparenti che contengono e separano le due importanti famiglie del testo di Shakespeare: a destra i Capuleti, a sinistra i Montecchi; spesso statici e composti nelle loro stanze, come un'immagine hopperiana. Sulle vetrate compaiono e scompaiono scritte e disegni dalle mani degli attori, forse un’insolita esternazione dell’indicibile. In questa atmosfera - che riporta un po’ alla buia forma della città moderna - Verona si mostra agli spettatori fredda e statica.

Antonio Folletto è una sorpresa su questa scena così distaccata, è il personaggio più shakespeariano che - con bravura, agilità e semplicità - vola tra palcoscenico e platea dall’inizio alla fine. È il Romeo romantico che sulle note di De Andrè e la voce di Battiato ci racconta le sue sofferenze d’amore che - senza ragione e in un tempo finito - cambiano nome da Rosalina in Giulietta. La Giulietta in tutù è Lucia Lavia, forse un po’ troppo distorta e rabbiosa (soprattutto nelle espressioni) in confronto a ciò che ci aspettavamo. I due amanti assumono qui connotazioni molto differenti tra loro tanto da lasciarci perplessi:  quanto questo espediente serve a dare una linearità a questo dramma pop senza, invece e paradossalmente, spezzarne troppo l’impatto emotivo dello spettatore?

Gli elementi postmoderni richiamano senza esitazione la versione cinematografica di Baz Luhrmann, così come anche l’effeminato e provocatorio Mercuzio interpretato da un notevole Alessandro Preziosi che, in questa parte, crea un evidente stacco generazionale e interpretativo rispetto al resto dei personaggi.

Commuove e fa sorridere l’incontro finale, un Rock’n’Roll Suicide a tutti gli effetti. Una produzione Khora Teatro, in scena alTeatro Eliseo di Roma fino al 5 marzo.

Marianna Zito

Uno straordinario monologo in cui, in poco meno di un’ora, Lorena Senestro ci racconta una nuova Emma Bovary legata sì al padre Flaubert nella mise e nella trama ma distante nello spazio e nel tempo: con voce e corpo, musica e luce la Senestro - in parallelo al famoso romanzo - si racconta - tra poesia e prosa, citazioni famose e divertenti turpiloqui - da una pianura padana dei nostri giorni e in una lingua popolare piemontese che diventa comprensibile a tutti grazie agli sguardi e ai gesti dell’attrice. Madama Bovary le appartiene interamente: la tocca, la accarezza, la scuote, la afferra e può farlo solo grazie alla sua bravura e alla sua sensibilità.

Irrimediabilmente bella, vestita di bianco su di un palcoscenico vuoto dove si muove armoniosa e triste - come la ballerina di un carillon - c’è la vita di Emma Bovary: la passione, la frustrazione, la noia, il profondo egoismo e il disprezzo per il povero Charles, che immaginiamo anch’egli in scena mentre - pover’uomo - dorme, russa o mangia. Emma vive il suo mondo al di fuori della realtà, desiderosa di ricchezza, lusso ed eleganza, lo confonde e lo rovina fino alla totale miseria.

A ritmo di una musica che - come una goccia - scandisce il tempo riempiendole la vita di rimpianto, la Senestro ci mostra questa donna lasciandoci disarmati e sorpresi, pieni di una eccitata e malinconica rassegnazione.

A 4 anni dal suo debutto, possiamo e dobbiamo rivederla a Roma al Teatro dell’Orologio dove sarà in scena fino al 18 febbraio

Marianna Zito

Trasposizione teatrale del racconto di Camilleri, portata in scena dal 9 al 12 febbraio all'Arena del Sole di Bologna dal regista Giuseppe Dipasquale, Il Casellante è ambientato a Vigata, luogo inventato dallo stesso scrittore, rappresentazione di un modo di essere e ragionare prettamente siciliano. È un racconto delle trasformazioni del dolore, della maternità e della guerra ma anche il racconto in musica divertito e irridente del periodo fascista della Sicilia degli anni Quaranta.

La scenografia è essenziale e simbolica, la casa di Nino (Mario Incudine) e Minica (Valeria Contadino) è rappresenta semplicemente da un tavolo e alcune sedie; al centro del palco l'idea della ferrovia viene resa mediante un antico carro ferroviario a pedali mentre un vecchio seggiolone rappresenta il negozio da barbiere. Nel secondo atto, infine, domina la scena un albero che è il sogno di Minica, quello di trasformarsi in albero, quando, sconvolta dalla violenza subita, impazzisce e desidera trasformarsi in pianta per poter generare un frutto. Questa similitudine con la dea Dafne è un chiaro richiamo al mondo mitologico di Camilleri che prende dei personaggi reali e li trasfigura nella sua grande fantasia di narratore. Inoltre, è originale la lingua usata dal narratore che ricalca una divertita sinfonia di parlate, una sicilitudine fatta di neologismi, di modi d'uso dialettali trasportati in italiano.

Foto di Antonio Parrinello

L'attore Moni Ovadia, voce narrante, nel corso dello spettacolo appare molto versatile in quanto interpreta vari ruoli: il barbiere, il ferroviere che commette violenza sessuale su Minica e la mammana. Mario Incudine interpreta molto bene il ruolo del protagonista soprattutto risulta convincente nel ruolo del cantante delle ballate di cui è autore e che esegue dal vivo con l'apporto di Antonio Vasta e Antonio Putzu (in scena in qualità di avventori o carabinieri). La musica, originale, che fa da colonna sonora a Il Casellante comprende brani tradizionali e qualche inno dell'era fascista riciclato in polka o mazurca.

Il vivace suono del mandolino accompagna immagini drammatiche: i vari bombardamenti, emblematici episodi della seconda guerra mondiale, la violenza sulla donna e una maternità tragicamente negata che porterà Minica, interpretata da Valeria Contadino con una tale intensità da far rabbrividire, sull'orlo della pazzia poiché la poveretta, dopo aver perso il bambino quindi vistasi negare il suo desiderio di maternità, si trasforma in pianta per evidenziare il suo desiderio di cambiamento che la porti, nonostante le violenze subite, ad avere un frutto (un figlio). Questa scena simboleggia anche la speranza di un futuro migliore per la società che, attraverso la trasformazione, porti gli individui a convivere pacificamente, in maniera libera e rispettandosi gli uni con gli altri.

La regia di Giuseppe Dipasquale amalgama bene la parte recitata con quella cantata con musiche dal vivo, un cast che ci racconta una Sicilia antica e moderna insieme, un affascinante mix di lacrime e risate.

 

Marianna Tota

Torna al Teatro Vascello fino al 19 febbraio, Le Baccanti – Dionysus il dio nato due volte, un progetto di Daniele Salvo sulle Baccanti di Euripide.

La tragedia euripidea, tra le più emblematiche ed ambigue, viene messa in scena secondo un percorso che, rimanendo fedele all’ancestrale forza del testo greco, riesce ad aprire una reale «finestra sull’irrazionalità» quotidiana.La costante presenza dell’elemento dionisiaco, in cui divinità e follia si uniscono inscindibilmente, funge da filo conduttore dell’intera rappresentazione ed emerge, non solo, dalla abilità recitativa degli attori coinvolti ma anche dagli effetti visivi e sonori della pièce.

Foto di Giovanni Bocchieri

Dioniso (Daniele Salvo), il dio nato due volte e misconosciuto, viene presentato nella sua subdola e potente doppiezza: seducente e vendicativo, astratto e sfuggente, tangibile e d’improvviso vanificato in una voce arcana, imprigionato ma, ad un tratto, libero e vincitore. Questo è il dio della hybris, il dio delle contraddizioni sconcertanti, a cui fa da specchio un altro tipo di hybris commessa da Pènteo (Ivan Alovisio), colui che combatte un dio di cui non riconosce la natura superiore fino a disprezzarne i riti ed a perseguitarne i seguaci.

La rappresentazione dell’empito dionisiaco viene realizzata grazie ad una scenografia ricca di elementi visivi e grazie ad un uso coinvolgente delle videoproiezioni che sembrano trasportare lo spettatore direttamente sul monte Citerone, lì dove il coro delle Baccanti si slancia per celebrare la forza erotica del proprio dio.

L’attenzione posta all’elemento vocale e sonoro che Salvo ha compiuto in stretta collaborazione con Marco Podda, permette di cogliere l’irrazionale e il tragico in ogni parte dello spettacolo.                                                                                                             Il suono, riproposto nelle sue più diverse forme, accompagna il movimento del corpo, particolarmente presente nelle parti corali delle Baccanti, ed amplifica la potenza comunicativa del gesto e della parola stessi, soprattutto nel monologo del Secondo Messaggero (Melania Giglio) e nel dialogo finale tra Cadmo (Paolo Lorimer) ed Agave (Manuela Kustermann), nel momento in cui questa ultima ritrova la ragione ed affronta la realtà terribile del dramma.

Eleonora De Caroli

Continuano le serate in musica al Teatro Eliseo di Roma con il progetto creativo Special Guest, in collaborazione con  il Saint Louis College of Music (con la direzione artistica di Stefano Mastruzzi).

L’ultimo appuntamento - seguito da una platea numerosa ed entusiasta - ha visto come protagonisti Javier Girotto accompagnato dalla voce di Peppe Servillo e dalla Saint Louis Big Band diretta dal maestro Gianni Oddi

Il teatro diventa, quindi, il luogo di incontro tra due culture differenti molto lontane geograficamente ma unite dalla latinità sudamericana da una parte e mediterranea dall’altra: nasce così una serata unica ispirata al tango, al jazz e alla canzone d’autore italiana.

Il prossimo appuntamento è per il 19 febbraio con gli Special Guest Paolo Damiani e Maurizio Giammarco. Serate magiche da non perdere.

Marianna Zito

“Mi sfilo lentamente gli organi per appenderli

fuori ad asciugare. Li guardo sbattere al vento e mi

viene da piangere”.

 

Nasce, Cresce Deserti (L'Erudita, 2017) crea nella nostra mente - mentre leggiamo -  immagini che si mutano simultaneamente in forma e in natura, in città e in palazzi, in vita e in morte. L’autrice Sofia Bolognini ci dona due racconti - La Ragazza col Girasole e Il mostro che Raccontava Storie - scritti in momenti diversi, ma invertibili o intercambiabili o conseguenziali l’uno all’altro. 

Ci ritroviamo così man mano In Italia, poi a Roma o in qualsiasi altra città dove - senza via di scampo - la realtà è sempre la stessa: abbiamo ereditato un mondo che non si prende cura dei suoi giovani - dell’autrice stessa - che li lascia senza un futuro; un Paese che li frusta nudi da tutte le parti delineando così i confini di un amore nazionale totalmente finito, dove l’unica soluzione è partire e morire oppure accettare di morire. 

La Bolognini, attraverso un linguaggio poetico postmoderno e grazie a due stili molto distanti tra di loro, ci mette visibili su un piatto sentimenti ed emozioni che si susseguono a velocità illimitata, alternando idee contrapposte: mancanza e distruzione da una parte, speranza e accettazione dall’altra; mentre la morte vuole impossessarsi di noi, noi cerchiamo rifugio nel disegno di un amore qualsiasi, senza definizione. Quindi, quella che nasce come una sorta di autobiografia diventa inevitabilmente una trama condivisa, la cui finalità ultima è la ricerca comune della luce oltre le macerie del mondo.

Sofia Bolognini è attrice, drammaturga e regista. Nel 2015, insieme a Dario Costa, dà vita alla produzione teatrale Bologninicosta, un progetto di ricerca sociale e artistica che si esprime attraverso il corpo, la musica e la parola.

 

Marianna Zito

Dopo aver collezionato numerosi premi, Sister Act - il Musical con la regia di Saverio Marconi ritorna al Teatro Brancaccio di Roma per continuare a divertire e sorprendere il pubblico con la sua storia, i suoi colori, la musica di Stefano Bondi e le coreografie di Rita Pivano. Le scene si susseguono velocemente grazie alle scenografie di Gabriele Moreschi che si aprono e chiudono in un dinamismo e in un incastro perfetto.

 

Come nel famosissimo film del 1992, che vedeva come protagonista Whoopi Goldberg, la cantante di colore Deloris Van Cartier - interpretata da Belia Martin - dopo una serie di vicissitudini si ritrova in un convento alle prese con la vita delle sorelle, molto diversa dalla sua e da qui partirà la splendida voce sia della protagonista (che diventerà Suor Maria Claretta) sia di tutti gli altri personaggi, tra cui come special guest abbiamo il piacere e l’occasione di vedere la straordinaria Suor Cristina (che veste i panni di Suor Maria Roberta).

 

 

Alcuni assoli si rivelano un po’ lunghi ma in compenso assistiamo a una performance dal ritmo dinamico, coinvolgente e luccicante (grazie ai tanti costumi di scena firmati Carla Accoramboni) .Venticinque i brani musicali - scritti da Alan Menken e tradotti in italiano da Franco Travaglio) - che vedono l’unione di cori gospel con la disco anni Settanta, il soul e il funky.

Un appuntamento da non perdere, fino al 12 febbraio al Teatro Brancaccio di Roma!

 

Marianna Zito

 

Oggetti: 21 - 30 di 163
<< 1 | 2 | 3 | 4 | 5 >>

Poesie

Questa sezione è vuota.