Si muore per poi tornare per un’ora al giorno. Solo un’ora. Cris viene investito da un auto e si trova con un piede sulla terra - a dibattere con la madre e a scontrarsi con le convenzioni sociali di un piccolo paese del sud - e con un piede in un frigorifero che simboleggia il suo passaggio verso l’aldilà. Per poi arrivarci, nell’aldilà, e rifare una capatina ogni tanto, nella vita. In Biografia della peste, vita e morte si intersecano attraverso personaggi reali e non, che si esprimono con linguaggi inventati e con vernacoli specifici.
Un paese fantastico e un po’ folle, dunque, che si sviluppa su una scenografia minima composta da oggetti strambi quali un cavolo, una sedia a rotelle e un frigorifero, appunto. E due soli attori a interpretare problemi comportamentali, sociali, di morte e di piccole resurrezioni. Luciana Maniaci e Francesco d’Amore ci raccontano così i loro scritti al Teatro dell’Orologio di Roma. Hanno cominciato con Il nostro amore schifo e concludono la Trilogia del gioco con Morsi a Vuoto fino a domenica 7 febbraio.
Marianna Zito
Foto di Manuela Giusto