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ZIO VANJA di Filippo Gili al Teatro Argot Studio

01.04.2016 11:14

Si riconoscono subito gli attori di Filippo Gili, già dai primi passi, dalle espressioni poi e, infine, dalla parole: la voce segue una ritmica che scandisce un tempo ben definito - a cui si lega ogni movimento - quasi a comporre una musica. Ci sono familiari anche le sue scene che riproducono spesso un ambiente calorosamente domestico lasciando un ruolo rilevante alle luci - spiragli di speranza o possibilità in un buio che predomina sullo spazio scenico - che intervallano i movimenti degli attori creando un'atmosfera molto forte che trascina e coinvolge vorticosamente e progressivamente l'attenzione e l'emotività dello spettatore.

Gli interni e gli esterni di Anton Checov in Zio Vanja confluiscono qui in una scenografia unica che comprende tutta la sala del Teatro Argot Studio includendo anche lo spazio adiacente ad essa, da dove arrivano voci che permettono allo spettatore di immaginare i dialoghi non rappresentati. La scena, come dicevamo, è un ambiente caldo e familiare: un tavolo, un divano e una credenza. I personaggi sono di un numero inferiore rispetto al testo originale ma racchiudono - e in qualche modo rappresentano - anche l’essenza di quelli mancanti. Il pubblico è molto vicino alla scena e quasi se ne sente partecipe.

Si comincia in silenzio, un silenzio che si ripeterà spesso e che paradossalmente diventa assordante per quanto è profondo e significativo. Si parla dell’amore ricordato e non vissuto, di passioni impossibili, della malattia e dell’età che avanza, del rimpianto del passato.

Come nell’opera di Cechov, le situazioni si intrecciano dimostrando solo una necessità estrema di far ritorno allo stato iniziale senza uno sviluppo o un progresso reali e, inoltre, una incapacità assoluta di voler essere realmente felici. I personaggi sono adagiati nell’ozio e inebriati dall’alcol, chiusi in una staticità senza alcuna via d’uscita. Il tempo passa e loro vivono privi di sentimenti e di desideri di cambiamento: una sorta di prigionia da cui tutti potrebbero uscire ma non vogliono. Sonja  - Emanuela Rimoldi - vive con lo zio Vanja - interpretato da uno straordinario Paolo Giovannucci - nella tenuta di famiglia e portano avanti i lavori agricoli. La loro routine viene interrotta dal padre di Sonja, il professor Serebrjakov - il grande Ermanno De Biagi - e dalla sua seconda e giovanissima moglie Elena - Chiara Tomarelli - che portano scompiglio e malumore fino a una situazione estrema che si risolverà solo con un ritorno all’ordine prestabilito. Vengono travolti da questa situazione anche il dottor Astrov  - Alessandro Federico - e il povero e ingenuo Telegin - interpretato da un divertentissimo Matteo Quinzi.

Zio Vanja, dopo Il Gabbiano e Le tre sorelle, completa Il Sistema Cechov, un progetto di Uffici Teatrali – Argot Produzioni e fino al 10 aprile sarà in scena al Teatro Argot Studio. Andate a vederlo, Gili vi riempie l’anima.

 

Marianna Zito

Foto di Fabio Lovino