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Pesadilla: danza,teatro e fisica del circo

23.04.2015 16:36

I limiti esistono soltanto nell'anima

di chi è a corto di sogni.

- Philippe Petit -

Pesadilla significa incubo ed è il titolo dello studio coreografico e teatrale portato in scena da Piergiorgio Milano, che ci lascia per tutta l’esibizione sospesi in una sorta di equilibrio tra il sonno e la veglia.

Una sospensione temporale tra il conscio e l’inconscio che ripercorre la quotidianità frenetica che l’era delle telecomunicazioni e le stress urbano hanno insinuato e insinuano continuamente nelle nostre vite: un flusso di sogni e pensieri che oltrepassano i confini della realtà. Tutto è affidato a ciò che vediamo o percepiamo attraverso  movimenti sinuosi e libertà gestuale, partendo dalle mani e finendo ai piedi o viceversa, attraverso scatti ripetuti ritmicamente che creano energia per tutto il resto del corpo. Il rapporto sul palco è tra il protagonista e una sedia vuota che simboleggia quasi l’unico punto di staticità da cui parte e termina  un percorso caratterizzato da movimenti continui e coreografici.  Lo spettacolo è il vincitore del Premio Equilibrio 2015.


Pasadilla ha aperto la seconda edizione del Festival di danza contemporanea EDEN – connect the dots in scena fino al 26 aprile al Teatro dell’Orologio di Roma. Il titolo di questa edizione è ANTROPOMORFI, a sottintendere i tratti umani appartenenti ai corpi e ai contatti reciproci che si creano tra essi e tra il resto, quasi come un bisogno necessario. Il movimento assume il compito di trasportare le capacità verso quelli che sono i limiti naturali oggettivi creando un luogo personalizzato in cui viene svolta l’azione.

Interessante è l’interazione che gli artisti creano con il proprio pubblico attraverso video e dialoghi che precedono e seguono lo spettacolo. Ed è lo stesso Piergiorgio Milano a regalarci le parole del grande maestro Eduardo Galeano: “Lei è all'orizzonte […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare".

                                                                                                                                                              Marianna Zito