e quannu t'ancontru 'nda strata
mi veni 'na scossa 'ndo cori
'ccu tuttu ca fora si mori
na' mori stranizza d'amuri... I'amuri.
Franco Battiato
Due lenzuoli stesi perpendicolarmente - a disegnare una croce - segnano il percorso di questo dramma velato dall’ironia di un narratore siculo: Caronte, il traghettatore del regno dei morti. È proprio Caronte a narrarci il mito di Orfeo e Euridice, dalla richiesta al dio dei morti da parte dell’uomo fino alla perdita finale e al ritorno agli inferi di lei. I due lenzuoli simboleggiano i percorsi: la camminata di Orfeo e Euridice verso la salvezza dalla morte, prima. La strada della vita e la storia di un amore, tra Giacomo e Giulia, poi. Fino a diventare la base per una vicenda che narra il distacco, la malattia, l’accanimento terapeutico. Fino alla fine.
Attraverso movimenti lenti come un carillon, posizioni inconsuete di foto in carne e ossa, dialoghi sovrapposti e personaggi alternati, Giacomo Ferraù e Giulia Viana portano in scena la piéce teatrale firmata e diretta dall’argentino César Brie, facendoci sentire addosso gli istanti - che possono trasformarsi in lunghi anni - di una donna che, a causa di un incidente, è costretta a vivere in uno stato vegetativo ed è tenuta in vita dalle macchine e del suo uomo che, istante dopo istante, anno dopo anno, le vive accanto improvvisandosi guida dei suoi movimenti e del suo corpo. Una vita che diventa un’agonia, un’umiliazione, l’opinione pubblica come sempre divisa a metà e la via d’uscita più nobile: l’eutanasia.
Il mito, la poesia e Battiato fanno da contorno a questo tema così doloroso e attuale. Al Teatro dell’Orologio di Roma fino a domenica 22 novembre.
Marianna Zito