Andare a vedere il Misantropo ovvero liberi esperimenti dell’arte del vivere sociale - tradotto, adattato e diretto da Francesco Frangipane - è come entrare in una dimora sconosciuta, in cui si viene accolti e messi a proprio agio. Ed è proprio questo che fanno gli attori: ci fanno strada e ci accompagnano al centro della scena, dove man mano si aprirà uno scorcio nuovo, un’altra realtà.
Questa lettura del Misantropo di Molière è attuale, abbandona il seicento francese per divenire il vernissage serale dell’artista Oronte - interpretato da Vincenzo De Michele - accompagnato da un dj set - gestito in diretta da Antonello Aprea - da balli e spritz, mentre i temi di fondo del testo restano inalterati. I 5 atti originali e i personaggi sono stati abilmente limati per lasciare spazio a un notevole e disperato Alceste - interpretato da Arcangelo Iannace - e a una euforica ed elegante Vanessa Scalera nei panni di Celimene. Perfetti nella loro mise, che in apparenza li evolve, tutti i personaggi si abbandonano alla frenesia del ballo che immancabilmente diventa lo specchio della loro instabilità e della loro sofferenza interiore. Un impatto visivo tangibile e armonioso in una scenografia arricchita dagli elementi del vernissage in corso - statue e dipinti - che fanno altresì riferimento a tutti quegli elementi legati alla manipolazione e alla colpa individuale e collettiva (intravediamo, ad esempio, La visita della vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt).
L’apparenza diventa, quindi, il filo conduttore di menzogne e adulazioni sempre già viste e sempre già sentite, che il nostro orecchio mai vuole riconoscere come vere, nemmeno davanti all’evidente oggetto del torto subito. Non mancano le accuse, le scuse e le condanne ingiuste inflitte a chi si arrischia verso la lealtà. Da allora a oggi nulla è cambiato: è l’ipocrisia alla base delle più solide leggi che contraddistinguono la nostra società e di conseguenza le nostre vite.
Un testo ben delineato nel suo scorrere che arriva direttamente davanti agli occhi e alla coscienza di chi lo guarda. In scena fino al 23 ottobre al Teatro Argot Studio.
Marianna Zito
Foto di Manuela Giusto