La scena si apre vuota, buia - ispirata al teatro ideologico espressionista, al realismo poetico di Prévert, a Jean Cocteau e al cinema francese degli anni ’30 - e man mano gli otto personaggi, accompagnati dalla musica, prendono il proprio posto sul palcoscenico. Da Shakespeare troviamo direttamente Amleto, Ofelia, Gertrude, il Re, Laerte e Claudio. In più arrivano - alla fine - Guillame e Rose. I personaggi hanno tutti il volto dipinto di bianco, a richiamare la pantomima con le espressioni e le smorfie tipiche del cinema muto. Siamo a Parigi sulle rive del Canal Saint Martin, è il 1939. Tutti si muovono come burattini in stato di ebbrezza, in quello che man mano appare essere ai nostri occhi l’Hotel du Nord, come nel film di Marcel Carné, del 1938.
Claudio, non potendo possedere la peccaminosa Gertrude, alla nascita del nipote Amletó disperato, fugge dalla Danimarca per stabilirsi a Parigi, in questo albergo del mistero, dei vizi e della violenza. Proprio qui – attraverso un ponte - lo raggiungerà la famiglia di Elsinore che è appena riuscita a sfuggire ai nazisti alla guida di un’automobile.
Un Amleto novecentesco a tratti ironico, viziato e infantile, capriccioso e depresso, divorato dai suoi fantasmi e dalle sue ossessioni che dovrà confrontarsi con la dolce amata e ingenua - ballerina di flamenco – Ofelia, mentre il suo amore edipico tenderà solo ed esclusivamente verso la regina, sua madre. Così, come i giovani fidanzati di Carné decidono di suicidarsi insieme, anche Amletó chiede questo enorme “sacrificio di coppia” alla dolce Ofelia per creare l’opportunità di abbandonare insieme questo mondo infame, uccidendosi con una pistola ad acqua. Ofelia non glielo concederà, provocando così il disinteresse del giovane principe e decidendo di morire sola, sempre per acqua – come nel testo originale - nel Canal Saint-Martin, causando solo indifferenza e distacco negli altri personaggi. Tutto questo avviene mentre Amletò continua la ricerca del padre morto, in un’atmosfera musicale languida, a tratti triste e coinvolgente per il pubblico. Non manca la rappresentazione del meta teatro ma qui ci racconta, in qualche modo, la triste morte di Rosencrantz e Guildenstern, personificati da due attori di strada che non sono altro che Guillame e Rose.
Uno spettacolo a tratti ironico a tratti tragico dove i personaggi si cimentano in un grammelot pseudo francese – come quello utilizzato da Dario Fo - quasi completamente comprensibile e intuibile dal pubblico. Dal giovedì alla domenica fino al 19 aprile - al Teatro La Comunità di Roma - l’Amletó di Giancarlo Sepe affascina e conquista con quasi due ore di spettacolo a descrivere - in modo tragi-comico - le condizioni psicologiche dell’essere umano. Una trasposizione in cui essere o non essere, vendicarsi o non vendicarsi alla fine conta ben poco, mentre l’unica cosa certa sono i tormenti e le contraddizioni dell’uomo.