Le Carrozzerie n.o.t riportano a Roma, fino al 4 marzo, l’esilarante e grottesco Amleto FX, di e con Gabriele Paolocà.
Bianche tende veneziane, su cui è riprodotta La camera di Vincent ad Arles, stanza d’artista di Vincent van Gogh, un vaso di terra in cui crescono prosecco e Aperol, un MacBook grigio che emette suoni ed animazioni di teschi, questi sono gli oggetti che compongono la stanza-prigione in cui l’Amleto di Paolocà si rinchiude e si dispera.
«Essere e solo essere, questo è il fottutissimo problema» e questo è anche il punto cruciale di un monologo toccante e divertente che, senza perdere la potenza espressiva del testo seicentesco, viene non solo, rivisto e modificato con continue citazioni letterarie (da X Agosto di Pascoli ai testi di Pasolini) ed incursioni nella musica (con Amy Winehouse e Luigi Tenco) e nel cinema, ma anche interpretato con grande abilità, grazie alla capacità dell’unico attore di diversificare la propria voce e postura così da rendere vivi i principali protagonisti del dramma.
Amleto, abbandonato alla propria solitudine, oscilla e barcolla tra una scrivania con PC, da cui riceve messaggi di Orazio ed Ofelia, e una sedia su cui pende un cappio, simbolo di morte, sempre presente in scena.
L’intera performance è, infatti, un alternarsi e un sovrapporsi di parodia e tragedia dove l’elemento shakespeariano della vendetta viene sostituito da quello della solitudine, dell’impotenza, del dolore per la perdita di un padre, per una ricerca di comunicazione e comprensione, sempre più impossibile da realizzare; per un tutti quei modelli e stili di vita che, lontano dall’offrire punti di appoggio e speranza, si rivelano mezzi conformanti ed omologanti.
Questo Amleto è un bambino imprigionato ed alienato; un giovane principe dipendente, per necessità, da un monitor accecante e, soprattutto, icona moderna della predominanza, della vacuità e del senso di dissolutezza a cui un determinato uso della tecnologia, in nostro possesso, può portare.
Eleonora De Caroli