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A Roma 'Nine Poems in Basilicata'

30.01.2015 14:43

Il circuito per il cinema di ricerca NOMADICA ha portato a Roma in girum imus nocte e consumimur igni (della catastrofe e dei suoi superstiti). La catastrofe e i suoi superstiti vengono, appunto, celebrati tra le accoglienti vie del centro e tra gli imperiosi monumenti che sembrano trovarsi  lì quasi a mitigare questo caos. Siamo al cinema Trevi, nella Cineteca Nazionale in collaborazione con Fuori Orario di cui festeggiamo, allo stesso tempo, i 25 anni di esistenza. I superstiti, per sopravvivere alla catastrofe devono saperla vivere dal di fuori lasciandola coordinare da un blob, da una catastrofe già accaduta e da loro stessi riproposta, allontanando gli occhi dal disastro. Il tutto si svolge attraverso i sei temi/puntate di ZAUM, una parola che richiama i futuristi russi estremi senza racchiudere in sé significati specifici, perché è lì a intendere un qualcosa che va ben oltre la mente, ben oltre la vita percorrendo un lasso temporale a partire dal G8 di Genova fino all’11 settembre di New York. E proprio nel cuore di Roma troviamo la cine-poesia: Antonello Faretta, regista lucano ci accompagna grazie a John Giorno, uno degli esponenti della poesia americana contemporanea, tra terre incontaminate con la proiezione di Nine Poems in Basilicata. New York, Roma e il sud lucano si uniscono per 55’ in una simbiosi mistico-surreale. A parlarci del film sono lo stesso regista Antonello Faretta e il prof. Giorgio De Vincenti, docente di Estetica del Cinema e dei Media dell’Università RomaTre.

John Giorno vive in modo poetico, intrecciando tutte le contraddizioni che, nella vita, lo caratterizzano come l’omosessualità, la religione e l’arte poetica. Egli rappresenta il passaggio dalla parola scritta alla Spoken Word che è la parola elevata ai massimi livelli: la poesia vissuta e trasmessa è la sua missione e la attua attraverso i suoni delle parole e soprattutto attraverso il suo respiro che permette alla voce di mutarsi in poesia e di espandersi per il mondo. Ed è proprio il respiro a fare da sottofondo a tutta la ripresa del video.

Più che un film ci ritroviamo davanti un libro di immagini e parole e, appunto come un libro di poesia, è leggibile tutto d’un fiato oppure a capitoli.  I capitoli - ovvero le poesie - sono nove  e prendono vita dalle culture inscritte nei nove differenti luoghi della terra che segna le origini del poeta, la Basilicata: la Rabatana di Tursi, Craco, Lagopesole, Brienza, Venosa, Castelmezzano, Montescaglioso, Tricarico, Aliano. L’impronta del film è diretta, senza studi approfonditi che ne precedono la realizzazione: John Giorno recita e Antonello Faretta lo riprende catturando le sue emozioni e abbandonandosi tra il suono della sua voce.                                     

La Basilicata è una sorta di terra elegiaca in cui il poeta si spinge alla ricerca della sua memoria e della sua identità. Ogni poesia ha un legame con il luogo o con lo spazio scelto e ogni luogo, a sua volta, rappresenta la memoria di chi lo ha vissuto. A volte l’immagine è statica. John Giorno è immobile in mezzo alla scena, alla natura, in una stanza. La dinamicità comincia nel momento in cui la parola esce dalla sua bocca e si immerge nel mondo, quasi sottoforma di musica.                                                        

Seguendo la sequenza logica dei nine poems, il primo capitolo è proprio Tursi e più esattamente la Rabatana. Lo sfondo è una casa del centro storico. La tenda verde di plastica dura, che ricopre l’ingresso, si muove con il vento al ritmo delle parole vibranti di John Giorno. Sulla destra una stradina, un percorso, un andare verso il passato per ritrovarsi più ricchi nel futuro. Sulla sinistra dell’inquadratura un’anziana signora seduta che osserva il poeta di spalle con gesti quasi di scoperta verso quest’uomo che parla una lingua incomprensibile.

Tre gli elementi fondamentali. La luce, noi siamo la luce e abbiamo la capacità con essa di riempire i nostri vuoti. Non è importante ciò che accade nella vita ma le reazioni luminose che abbiamo noi di fronte a tutte le circostanze. Le stelle, “Milioni di stelle mi sono entrate nel cuore, benvenute a casa”, a sottolineare il bisogno viscerale e incessante del ritorno alla terra, alla memoria, a riascoltare le vecchie nenie dei luoghi dimenticati. E poi i fiori e i loro colori che accompagnano l’ultimo capitolo.          

Un uomo di straordinaria forza vitale, immerso nella voglia di vita, che cammina dritto e fiero verso la non paura della morte. Un uomo in grado di apprezzare ogni singolo momento, senza limiti e vergogne utilizzando tutti i mezzi possibili per afferrare in ogni suo attimo la felicità. E ci riesce, John Giorno.

La traduzione dei testi – recitati in lingua originale – scorre a sottotitolo nello schermo e ha le profonde parole e la mediazione poetica di Domenico Brancale.